Il teologo Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto.
«Solo l’amore ai valori fondanti e alle persone in cui essi vengono a incarnarsi come volti da servire e amare crea uno spirito di patria». Non ci sono scorciatoie - spiega in quest’intervista l’Arcivescovo di Chieti-Vasto, monsignor Bruno Forte -, se si vuole tornare alla casa comune cui dedica il suo ultimo libro (“La patria europea”, edizioni Morcelliana).
A sessant’anni dai Trattati di Roma, Papa Francesco ha ricordato che l’Europa è «un modo di concepire l’uomo a partire dalla sua dignità trascendente». Ma gli europei di oggi dove devono cercare le radici morali e spirituali di quest’unità?
«Vorrei richiamare anzitutto le radici profonde che fanno l’identità europea: la cultura greco-latina, la diffusione del Vangelo connesso alla cultura ebraico-cristiana, e le anime culturali anglo-sassoni, britannica, nord-europea e germanica. Valori comuni impostisi nei secoli sono l’umanesimo come affermazione della dignità dell’essere umano, il personalismo di ispirazione cristiana e la capacità operativa - pratica, produttiva e organizzativa - propria della Mittel Europa e del mondo inglese. Oggi questi valori sono certamente presenti, anche se spesso mescolati a loro espressioni riduttive o strumentali: ad esempio, il ruolo dell’uomo subordinato a quello della tecnica, la centralità della persona tradotta in autoreferenzialità, il valore del lavoro equiparato a efficacia produttiva o esclusivamente a valori economici e commerciali, ecc. Ecco perché è fondamentale tener viva la memoria delle radici vissuta non come dato del passato, ma come sorgente ispirativa per il presente. Occorre aiutare i giovani ad amare la memoria delle radici e a sapersene far carico per aprirsi a novità e creatività che siano veramente feconde».
Papa Francesco in visita all'Europarlamento, il 25 novembre 2014.
Nazionalismi e xenofobia disgregano l’Europa e i suoi principi. In che modo il Cristianesimo può salvarla?
«Al centro del Vangelo c’è la persona del Figlio che si è fatto uomo per noi. Questo dà valore a ogni singola persona umana: il concetto di persona è stato definito proprio grazie ai dibattiti cristologici legati ai Concili dei primi secoli cristiani, specie nella stagione che va dal Concilio di Nicea (325) a quello di Calcedonia (451). Il cristianesimo può aiutare l’Europa a non smarrire se stessa testimoniando la dignità di ogni essere umano e il dovere del rispetto che ne consegue nei confronti di tutti. Si pensi alle enormi ricadute che questo ha su processi epocali oggi in atto, da quello delle migrazioni a quello del superamento dei sovranismi egoistici, da quello di un autentico europeismo dei popoli e delle nazioni, a quello di una consapevole e responsabile apertura alla globalizzazione».
Dopo il tramonto delle ideologie e l’affermarsi di una cultura individualista e relativista, chi ascolterà la Chiesa?
«Come sempre anzitutto chi vorrà ascoltarla. Le scelte della libertà e la sensibilità etica e spirituale sono decisive, ma possono solo essere proposte e stimolate, mai imposte… Occorre, insomma, scommettere sulla libertà consapevole…».
Non vi è il rischio che il richiamo alle radici cristiane si traduca in una nuova chiusura identitaria?
«Il rischio c’è se si vogliono strumentalizzare le radici, come avviene in alcuni gruppi xenofobi e falsamente paladini dell’identità. Ma se le radici cristiane vengono riconosciute nel primato della persona immagine di Dio e della carità come sua espressione più piena, il pericolo non c’è».
Edith Stein (Teresa Benedetta della Croce), una dei santi patroni d'Europa.
I padri fondatori hanno privilegiato una scelta morale - pace, giustizia ...- alla base dell’Unione. Fino a che punto si può tenere la schiena dritta quando la crisi economica provoca disoccupazione e fame?
«Non bisogna dimenticare che i Padri fondatori dell’Europa venivano da contesti dominati da disoccupazione e fame, quelli dell’immediato dopoguerra. Essi hanno avuto proprio da queste sfide un impulso propulsivo: è quello di cui c’è bisogno oggi più che mai, di persone cioè che si mettano in gioco con grandi tensioni ideali, morali e spirituali, pronte a pagare di persona al servizio del bene comune, della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato».
Nell’epoca della globalizzazione, quale può essere l’idea di patria che informa la “casa comune” di un’Europa cattolica, nel senso greco del termine, che ha cioè coscienza che tutti appartengono a un destino comune?
«Patria vuol dire una casa comune, che è tale per condivisione di gioie e dolori, sogni e speranze, impegno e passione. Solo l’amore ai valori fondanti e alle persone in cui essi vengono a incarnarsi come volti da servire e amare crea uno spirito di patria: è questo che sognavano i Padri fondatori dell’Unione europea. Un’Europa casa comune, patria di donne e uomini liberi, appassionati nel costruire una società e un mondo migliore per tutti».
La Carta di Nizza definisce i diritti e le libertà fondamentali da garantire a tutti i cittadini dell’Unione. Solo ai cittadini o anche a chi aspira a diventarlo?
«A ogni persona umana che voglia mettersi in gioco per vivere la casa comune europea come tale e per renderla accogliente, abitabile e bella per tutti, nessuno escluso. Questo richiede certo la capacità di vivere una carica utopica: ma quale dei padri fondatori dell’Europa non era anche un po’ un sognatore e un utopista? “Beati quelli che sognano e hanno il coraggio di pagare il prezzo più alto perché il loro sogno diventi realtà”, diceva dom Helder Camara. A questo bellissimo progetto di vita aggiungerei la costatazione di un antico proverbio popolare: “Chi sogna da solo è un sognatore, ma se sogniamo insieme il sogno comincia a diventare realtà”».
San Benedetto da Norcia, patrono d'Europa.
Qualcuno ha visto nell’incendio di Notre Dame il segno della fine dell’Europa, altri della rinascita. Lei cosa ne pensa?
«Le due cose, ovviamente nel senso del simbolo, cioè di una continuità di significato nell’eccedenza del senso: l’incendio è stata una ferita dolorosa, ma ha anche rivelato un profondo attaccamento della Francia e non solo alle sue radici spirituali, come hanno mostrato le tante dichiarazioni delle voci più disparate e le tante iniziative di preghiera; al tempo stesso, proprio questo dolore ha fatto emergere una nostalgia e ha stimolato a un nuovo impegno, non solo a ricostruire la Chiesa materiale, ma anche e in modo speciale - specie nei credenti un po’ assopiti o rinunciatari di fronte al secolarismo - a rilanciarsi in una nuova tensione spirituale che solleciti una nuova evangelizzazione».
Le figure di San Benedetto, di santa Caterina e i cammini religiosi hanno plasmato l’Europa. In che modo?
«Il monachesimo benedettino, col suo radicamento territoriale dovuto alla “stabilitas loci” richiesta dalla Regola voluta dal Santo Fondatore, ha di fatto plasmato in profondità intere regioni, educando al lavoro assiduo e dignitoso, congiunto alla lode di Dio in cui si esprime e cresce la dignità della creatura, immagine del Creatore. L’idea del lavoro come via di realizzazione di sé e di collaborazione al bene comune e quella della necessità di coltivare sempre la dimensione spirituale della vita per essere e volersi autenticamente umani (“ora et labora”) sono frutto di questa presenza diffusa. Con la straordinaria figura di Santa Caterina si aggiunge a tutto questo la presa di coscienza della dignità femminile e del decisivo protagonismo della donna nelle vicende non solo familiari, ma anche sociali, ecclesiali e politiche: i due volti dell’Europa moderna, in parte ancora da promuovere, quello del lavoro e della festa e quello della pari dignità di ogni essere umano, sono compendiati in queste due figure. I cammini religiosi, poi, percorsi da innumerevoli pellegrini, servivano a ricordare che questi due dati non sono conquista assodata su cui riposare, ma esigono sempre nuovi inizi, e che il nuovo inizio parte dal cuore rinnovato dalla Grazia e da scelte spirituali e morali che nessuno può fare al tuo posto e di cui devi quotidianamente riappropriarti nella fedeltà, nella gioia e nella fatica dei giorni».
Il volume di Bruno Forte edito dalla Morcelliana dedicato alle radici cristiane dell'Europa.
In che modo i movimenti internazionalisti e interclassisti cattolici hanno segnato le vigilie delle guerre mondiali?
«Il cattolicesimo nel suo volto sociale ha conosciuto una profonda evoluzione da Leone XIII in poi, non esente da lentezze, ritardi e fughe in avanti, ma anche segnato da acquisizioni e conquiste rilevanti. Se da una parte l’impegno per la pace - proclamato in maniera vigorosa dal Magistero dei Papi - non ha trovato riscontro in tanti fedeli, ammaliati da sogni irredentisti e da utopie ideologiche strumentali e ingannevoli, dall’altra la “Real-politik” ha indotto la stessa azione pubblica della Chiesa a cercare compromessi e forme di adeguamento anche a sistemi totalitari e a logiche tutt’altro che rispettose della dignità e libertà di ogni persona umana. Il popolarismo cattolico ha dovuto farsi strada anche per questo fra resistenze non secondarie all’interno della stessa comunità ecclesiale e ne è stato segnato a volte nella ricerca di vie mediane fra utopia e realtà, non sempre all’altezza delle urgenze dei tempi».
Dalle tenebre della guerra alle speranze dell’Europa unita: qual è stato l’impegno dei padri costituenti?
«Il cattolicesimo democratico, che ha trovato nel Codice di Camaldoli elaborato da giovani universitari cattolici nell’estate del ’43 il suo manifesto, capace di ispirare in larga parte la Costituzione repubblicana, si è offerto come sorgente di ispirazione e di impegno per tanti cattolici impegnati in politica, che hanno avuto l’enorme merito di contribuire a edificare l’Italia repubblicana sulle macerie della guerra e a farne protagonista fra le principali della realizzazione dell’Unione europea. Il nome di Alcide De Gasperi e di altri padri costituenti cattolici va ricordato perciò con gratitudine e ammirazione, come fonte ispirativa anche per il nostro oggi, per un impegno laicale maturo, capace di ispirarsi saldamente al Vangelo vivendo in pieno l’autonomia necessaria nelle scelte temporali».