Lilia, 51 anni, vive
con il figlio quindicenne, studente al liceo classico, alla periferia
ovest di Milano. Laureata in filosofia, ha lavorato per molti anni
nella formazione e nel sociale, fino a quando, per i tagli nel
settore e la scoperta di un tumore, è rimasta a casa: «Fisicamente,
nei mesi della chemioterapia non riuscivo certo a lavorare!».
Lilia vive con 290 euro
al mese, l’affitto della casa è 750 euro ogni mese, un prezzo
“normale” per il mercato immobiliare milanese. Racconta: «I
primi mesi mi hanno aiutato mia zia e i miei genitori, ma poi anche
loro non potevano più permetterselo. Così ho dovuto chiamare il
proprietario e avvisarlo che non riuscivo più a pagare l’affitto».
A maggio del 2012,
Lilia presenta la domanda di casa popolare: è una donna sola con un
minore, con un’invalidità al 75% per la malattia. Nel frattempo,
il proprietario, titolare di numerosi alloggi tra cui diversi sfitti,
avvia le pratiche per lo sfratto, che diventa esecutivo.
Lilia, che
da vent’anni gli pagava l’affitto, prova a spiegargli che è in
attesa che il Comune valuti la sua situazione (a luglio 2013 ha
presentato anche la domanda di casa in deroga), ma senza risultati:
lo sfratto viene fissato per il 3 dicembre alle 8, proprio alla
vigilia di un’operazione e di alcuni controlli oncologici
importanti. Racconta Lilia: «Nei
giorni prima ho spiegato la situazione all’ufficiale giudiziario,
che però mi ha detto: “Inizi pure a vendere i suoi libri, tanto la
sbattono fuori”.
Così, insieme al Sicet (Sindacato inquilini casa
e territorio), abbiamo organizzato un presidio».
Il 3 dicembre, quando l’ufficiale ha bussato alla porta, ha trovato
gli attivisti del sindacato, tanti amici di Lilia, il proprietario
del bar del quartiere che distribuiva il caffè ai manifestanti,
persino la “Banda degli ottoni”, che protestavano contro lo
sfratto. Rimandato al 28 gennaio: Natale a casa, ma poi?
Nel frattempo, il
Comune ha finalmente esaminato e accolto la domanda di Lilia, ma
Aler, l’azienda della Regione Lombardia che gestisce gli
appartamenti, deve ancora assegnarle la casa. La situazione è
sospesa, ma non risolta: il Comune ha assicurato che «tra
alcune settimane» avrà le
chiavi in mano, ma in questo momento sono 200 le famiglie che a
Milano hanno avuto un provvedimento di assegnazione ma aspettano di
essere chiamate da Aler, in alcuni casi anche da sette mesi.
Le finestre dell'appartamento di Lilia. In copertina: il presidio organizzato dal Sicet l'8 dicembre scorso.
La Pira: «Il tetto è una cosa sacra, un diritto primario e inalienabile»
«La
storia di Lilia – spiega Veronica Pujia del Sicet – spiega bene
il problema casa a Milano. Sotto sfratto finiscono non più soltanto
le marginalità estreme, i più poveri, ma famiglie che per anni
hanno pagato la locazione e ora per la crisi non ce la fanno più.
D’altro canto, questa storia evidenzia il ritardo e l’assenza di
una seria politica della casa. Nel caso degli sfratti (5 al giorno a
Milano), perché il Comune non riesce a organizzare il passaggio da
casa a casa? Speriamo che Lilia non debba passare dalla strada, ma
lei ha ottenuto la casa secondo il bando ordinario. Le domande di
emergenza delle famiglie sfrattate vengono invece esaminate solo
quando la famiglia è per strada. Oggi nella nostra città sono 140
le famiglie con sfratto già eseguito per strada. Non si possono
valutare prima le loro situazioni?».
I numeri sono
drammatici. A Milano sono 18 mila, in costante crescita, gli sfratti
con richiesta di esecuzione: «Tra
questi»,
aggiunge Veronica Pujia, «molti
sono per “morosità incolpevole”, cioè persone che perdono il
lavoro e non ce la fanno più a pagare. Nel decidere quali sfratti
eseguire, la forza pubblica non tiene conto di questi fattori».
Nel 2012, in Lombardia sono state 5 mila le famiglie sfrattate. Nel
capoluogo, sono oltre 22 mila quelle in graduatoria in attesa
dell’assegnazione della casa popolare; nei primi nove mesi del
2013, il Comune ha effettuato 791 assegnazioni, di cui 380 in deroga
per emergenza sociale. Ma ci sono altri numeri che fanno impallidire:
a Milano, 5 mila sono gli alloggi pubblici sfitti di proprietà del
Comune o di Aler e 80 mila quelli sfitti dei privati.
«Sicuramente
un problema»,
spiega Pujia, «è
anche che con la legge 431 del 1998 il mercato immobiliare non è più
regolamentato e i prezzi sono drasticamente lievitati. In assenza di
affitti a canone calmierato, per molte famiglie milanesi l’affitto
incide per il 60% sul bilancio familiare: ecco da dove nascono molti
degli sfratti per “morosità incolpevole”. Poi certo, anche
sull’edilizia pubblica si deve fare di più».
Anche qui i numeri sono
significativi: in Italia il
4% del patrimonio abitativo è di edilizia sociale, mentre in Olanda
è il 34,6%, in Svezia e nel Regno Unito il 21%, in Danimarca il 20%,
in Francia il 17,2% e in Austria il 14,3%. In Europa, condividono
percentuali così basse con l’Italia, solo la Spagna 0,9%, il
Portogallo il 3,3% e la Grecia, con meno del 5%.
Eppure,
la casa è un tema che gli enti locali e il Governo non possono
eludere. Lo spiega bene Lilia: «Abitare
è la condizione che ci permette di vivere. Se non so dove abitare,
come posso ricominciare, cercare un nuovo lavoro e lottare contro il
tumore?». Sembra faccia eco
a quello che, nella stagione in cui le città iniziavano a investire
per dare la casa ai più deboli, diceva il sindaco di Firenze Giorgio
La Pira: «Il
tetto è una cosa sacra, un diritto primario e inalienabile».