La parola economia deriva dal greco (oìkos, casa e nòmos, legge, ovvero legge della casa). Eppure la Grecia moderna non pare essere stata all’altezza delle sue radici storiche. Preferisce fare onore a un’altra parola di origine ellenica: crisi. Una crisi devastante che l’ha ormai messa in ginocchio. Per uscirne ha ricevuto dall’Unione europea, dal Fondo monetario aiuti finanziari senza precedenti, condizionati a una serie di richieste: il taglio della spesa pubblica, la riforma previdenziale e un programma di liberalizzazioni. Oggi la nuova governance di Tsipras e Varoufakis sta contrattando spasmodicamente con la Troika (Bce, Bruxelles e Fmi) una soluzione. Ma quel che sembrava impossibile fino a pochi anni fa oggi è possibile: l’uscita dall’eurozona e il ritorno alla dracma. Per capire quel che sta succedendo dobbiamo tornare al 2009, quando con un cambio di governance politica nella Penisola ellenica emergono molte criticità sullo stato e la tenuta dei conti pubblici. Alcuni dei predecessori dei governanti in carica avevano truccato le carte perfino di fronte alla Commissione europea. I conti non tornano. Si scopre che sono stati truccati. Un falso in bilancio di dimensioni pubbliche.
Le agenzie di rating iniziano a mettere sotto la lente l’affidabilità dei conti pubblici di Atene. E così comincia il declassamento dei titoli di Stato. Per frenare le speculazioni sui mercati, il primo ministro greco George Papandreou annuncia una serie di interventi drastici per ridare credibilità sui mercati: congelamento dei salari pubblici, aumento dell’età pensionabile (ci sono poliziotti che cominciano a ricevere un vitalizio a 43 anni), nuove imposte. Germania e Francia iniziano a immaginare un piano di intervento congiunto di 30 miliardi di euro. “I mercati si sono sbagliati”, commentò a suo tempo il compianto ex ministro dell’Economia ed ex membro del board della Bce Tommaso Padoa-Schioppa, nominato consigliere personale dell’allora premier greco per i problemi economici. “Hanno creduto che le passioni avrebbero prevalso sugli interessi. Invece i governi, più saggi, hanno infine capito quanto andremmo indietro se quello che abbiamo costruito in Europa crollasse, forse a prima del 1914, come mi pare abbia detto il presidente della Banca centrale europea, Jean Claude Trichet”. Atene s’era presa un’altra mazzata, ovvero un ulteriore declassamento. Ormai i titoli sono junk bond: un segnale di panico per i borsisti di tutto il mondo che lo leggono come l’incapacità di onorare i prestiti.
Che succede se la sfiducia contagia gli altri Paesi europei, a cominciare dai malmessi Portogallo, Spagna e Irlanda? L’ondata di vendite, che colpisce tutti i listini d’Europa, dà inizio anche all’indebolimento dell’euro sul dollaro . Nel frattempo si scoprono sempre più gli altarini. Il deficit greco risulta più elevato del previsto e raggiunge il 12 per cento. Urge un sostegno e un’iniezione di fiducia. Ed ecco che le autorità europee stanziano i primi 30 miliardi di euro come forma di aiuto, un capitale che viene erogato da tutti gli Stati dell’Unione europea. All’eurogruppo si aggiunge il Fondo monetario internazionale, da sempre sotto la sfera di interesse degli Stati Uniti, con 15 miliardi di euro. Anche le banche americane infatti hanno investito in titoli di Stato europei. Inoltre l’industria yankee ha i suoi vantaggi a tenere basso il dollaro per facilitare il suo export.
A quel punto Bruxelles, Washington e Francoforte mettono insieme un vero e proprio piano finanziario sotto forma di maxifondo per erigere un muro contro gli speculatori. Il più grande piano di salvataggio della storia del capitalismo: 750 miliardi di euro. Alla Bce viene data la possibilità di acquistare i titoli dei Paesi più in difficoltà. Anche la Merkel, nonostante lo scetticismo dei suoi concittadini, è della partita. Per spirito comunitario, certo, ma anche perché molte banche greche detengono il debito greco, e in caso di default l’avrebbero ricaricato sui loro clienti, vale a dire sui tedeschi. E così si giunge all’accordo. Eureka, gridano i mercati, e risorgono. Il messaggio è semplice: cari speculatori, ogni volta che volete beneficiare dei futuri collassi degli indici di borsa e del mercato valutario sappiate che noi siamo pronti a intervenire con denaro fresco. Ma la crisi non si ferma. Ed è storia di ieri.