Papa Francesco non si fida di nulla di tutto ciò che gli è stato raccontato sullo Ior. Dopo aver osservato, per ben due volte dall’inizio del pontificato, che Pietro non aveva una banca, dopo aver detto una volta che Ior è necessario «ma fino ad un certo punto», ha deciso di prendere direttamente in mano la questione, nominando con un chirografo, cioè un atto con la sua firma, una Commissione referente per conoscere «meglio la posizione giuridica e le attività dell’Istituto», come si legge sul bollettino ufficiale della Sala Stampa della Santa Sede di mercoledì, 26 giugno.
La commissione è presieduta dal cardinale Raffaele Farina, salesiano, già prefetto della Biblioteca vaticana, dal cardinale francese Jean-Luis Tauran, il porportato che ha annunciato al mondo l’elezione di papa Francesco, da monsignor Arrieta, coordinatore, dall’assessore della Segreteria di Stato Wells, segretario, e dalla signora Mary Ann Glendon, americana, ex presidente della Pontificia Accademia delle scienze. È una decisione senza precedenti. Non è mai esistita finora una “Pontificia Commissione referente”, cioè una sorta di commissione di inchiesta che riferisce direttamente al Papa, nel governo centrale della Santa Sede.
Nel chirografo il Papa utilizza il plurale maiestatis e dice «Noi abbiamo deciso di costituire». Anche questa è una novità assoluta, che potrebbe essere interpretata come un rafforzamento della decisione papale, ma anche con il fatto che la decisione è maturata collegialmente insieme ad altri. Francesco spiega infatti di aver sentito il parere di alcuni cardinali, vescovi e «altri collaboratori». La commissione avrà poteri molto ampi. Raccoglierà carte, opinioni, analisi. E tutti dovranno collaborare con essa, senza che possa essere invocato il segreto d’ufficio.
Bergoglio mette tutto nero su bianco e avvisa che i membri della commissione riferiranno a lui («Ci tiene informati», si legge nel documento) nel «corso dei lavori» e non alla fine, che l’intero archivio dei lavori della commissione sarà «tempestivamente» consegnato a lui, per evitare fughe di notizie e carte che sfuggono di qui e di là. E poi la commissione verrà sciolta. Ma non c’è una data.
Più che clamorosa, la decisione di papa Francesco è drastica. Nel testo che ha firmato ricorda che già Benedetto XVI aveva sottolineato che i «principi del Vangelo» devono permeare «anche le attività di natura economico e finanziaria» e lascia capire che su questo piano c’è qualche problema. La questione gira attorno al concetto e alla funzioni di banca.
Alcuni giorni fa il cardinale di Manila Luis Antonio Tagle, conversando con un alcuni giornalisti a Roma, aveva insistito più volte nel dire che lo Ior non deve essere una banca, ma una “fondazione”, quindi con regole diverse da quella di un istituto bancario. Lo diceva sorridendo, ma uno sguardo al tempo stesso assai severo. Due giorni dopo quel colloquio Tagle è stato ricevuto dal Papa.
Un altro cardinale, Oscar Maradiaga, che è il segretario della commissione degli otto porporati a cui il Papa ha chiesto di aiutarlo nella riforma della Curia, ha detto circa lo Ior che è necessaria una «redifinizione».
Qualcosa insomma doveva accadere, anche perché il Papa sulla banca vaticana aveva avviato una propria personale consultazione da tempo chiedendo a molti suoi collaboratori in Curia una opinione sul da farsi. E nessuno si è tirato indietro.
La decisione sembra anche una risposta all’offensiva mediatica dell’attuale presidente dell’Istituto, il tedesco von Freyeberg, messa in atto tra le fine di maggio e l’inizio di giugno con interviste all’Osservatore Romano, alla Radio Vaticana, al Corriere della sera, alla Reuters, nelle quali assicurava che tutto andava per il meglio nell’operazione trasparenza chiesta dalle autorità internazionali. Eppure il punto è un altro. Bergoglio non è preoccupato di questo aspetto, ma di un altro a cui attribuisce ben più importanza e cioè se la presenza di una banca in Vaticano sia conforme ai principi del Vangelo.
Insomma vuole essere consigliato su una questione che sta a monte della trasparenza.
Il presidente tedesco dello Ior nelle sue interviste aveva rassicurato tutti che la banca funziona, cioè fa utili, fa redditività e aveva anche dato per la prima volta alcune cifre: 86 milioni e mezzo di dollari di utile nel 2012, cifra raddoppiata rispetto ai quattro anni precedenti.
Addirittura era intervenuto in un’altra intervista, al Giornale, il direttore generale Paolo Cipriani spiegando che una banca è necessaria per la libertà della Chiesa. L’intervista dagli uomini più vicini a Bergoglio era stata presa malissimo, quasi che fosse una lezione al Papa che insisteva sul fatto che Pietro non aveva una banca. Forse qui sta il problema, secondo Francesco.
Lo Ior insomma non è un’emergenza, ma una priorità. Il nodo non è la trasparenza secondo le regole bancarie internazionali, ma la sua conformazione o meno allo spirito evangelico.
Ma il Papa non vuole decidere da solo, come un sovrano medievale, e mette in campo il suo stile collegiale. Esattamente come ha ripetuto questa mattina all’udienza generale. «Qualcuno di voi può dire: “Senta Signor Papa, lei non è uguale a noi. Si, sono come ognuno di voi, siamo tutti uguali”». Quindi aiutatemi, anche sullo Ior.