Impossibile non è. Nessuna norma lo vieta. Probabile, a
quanto pare, nemmeno, per quanto
l'articolo 3 della Costituzione sia lì da 64 anni. Quando, nel 1946, 32
parlamentari del dell'Uomo qualunque provarono a votare contro Enrico De Nicola, candidato alla Presidenza della nascente Repubblica, la Baronessa Ottavia Penna, la loro provocazione, perché di quello si trattava, fu
bollata come uno scherzo nemmeno spiritoso. La Costituzione era in fieri e
il diritto di voto alle donne era stato contemplato per la prima volta da una Legge del 1945.
Trent'anni dopo, tant'acqua sotto i
ponti era passata, ma Giuliano Amato ricorda che una sua frase pronunciata nel
1998, una frase non troppo dissimile da quella di Giorgio Napolitano sui tempi maturi
per una donna Presidente della Repubblica, fu accolta alla stregua di
un'imprecazione laica: "Neanche avessi proposto un coleottero al Quirinale"
dice la vulgata di un dietro le quinte.
E adesso che altra acqua è passata, che nomi, se non chiare candidature, si sono
fatti negli anni: Nilde Jotti prima, Emma Bonino poi, nomi giudicati non
indegni, siamo pronti per il grande salto?
Se ne parla, nessuno osa dirsi contrario- sarebbe
politicamente scorrettissimo -, ma resta da mettere il Parlamento in seduta
comune alla prova dei fatti.
Un Parlamento - lo dice una ricerca presentata
alla Camera nelle scorse settimane, condotta da Marina Calloni dell'università
di Milano Bicocca, e da Lorella Cedroni della Sapienza di Roma- composto per la
stragrande maggioranza di uomini. Le donne, secondo le cifre della XVIma Legislatura,
sono appena il 20,95% alla Camera e il 18,32% al Senato: tradotto in confronti con
l'estero, vuol dire 54° posto su 188 Paesi secondo le statistiche
dell'Inter-Parliamentary Union al 31 dicembre 2010. E se parliamo di
eurodeputate scendiamo al 24° posto
su 27 Paesi rappresentati: dietro di noi solo Polonia, Repubblica Ceca e Malta.
Se è vero, e lo è, che la presenza femminile sui seggi delle
Camere ha avuto un'impennata recente, è anche vero che la si deve in buona
parte all'applicazione delle regolamentazioni internazionali sulle pari
opportunità, qualcosa che attiene al concetto delle cosiddette "quote
rosa": meglio di niente, ma il solo fatto che se ne parli e se ne senta
l'esigenza è segno di un problema non risolto e fa tanto riserva indiana.
Eppure stando alla determinazione del milione di donne scese
in piazza poco più di un anno fa a rivendicare la propria dignità, verrebbe da
scommettere positivamente sul fatto che si sentano prontissime ad assumersi la
responsabilità del Colle. Resta da capire se scommetteremmo altrettanto
serenamente sui parlamentari uomini, sono oltre l'80%, pronti a eleggersi una donna a capo
dello Stato.