Il filo d’Arianna inanella giri vorticosi su una pista di ghiaccio da 16 anni. Ne aveva 15 Arianna Fontana quando, “mascotte” della staffetta femminile di short track, pista corta alla lettera, agguantò un bronzo insperato. La sua è tuttora la medaglia olimpica più precoce della storia azzurra. Sembrava piccolissima sotto l’enorme bandiera tricolore quella sera al Palavela di Torino 2006. Lo era di età e di statura, ancora acerba. Con già dentro quella sana allora inconsapevole e poi sempre più conscia voglia di arrivare davanti che l’ha portata fin qui.
Cinque olimpiadi e altre 9 medaglie dopo, senza contare l’infinità di altri successi, a giocarsela ancora senza mai scendere dal podio, senza mai smettere di provare a mettere davanti l’ultima lama. La bambina nel frattempo è cresciuta, ha consolidato la sua partecipazione olimpica in un costante crescendo rossiniano: all’ultima, a PyeonChang, erano state tre medaglie una per colore. A Pechino siamo già a due: l’argento in staffetta mista e l’oro nei 500, la sua distanza: ma mancano altre tre gare e si potrebbe persino a 32 anni fare meglio di quattro anni fa.
E dire che Arianna dopo Sochi, satura di ghiaccio e di giri vorticosi, si era presa una stagione di pausa dal freddo, dall’ossessione di ruotare sempre nella stessa direzione, poi è tornata, uguale a prima con la grinta di sempre, come se avesse fermato il tempo durante la sua pausa. La vita è andata avanti, però intanto: pochi mesi dopo Sochi ha sposato l’amore della sua vita Anthony Lobello, italo-americano pattinatore come lei prima, inizialmente a stelle e strisce e poi passato alla Nazionale italiana, oggi suo allenatore. Ma non è stato facile, non lo è mai, inglobare un “estraneo” in uno staff tecnico federale: sono equilibri delicati, di cui anche in altri sport si sono conosciute le difficoltà. Ma Arianna e Anthony, squadra vincente sul ghiaccio e nella vita, hanno continuato insieme, a costo di fare squadra a sé per un po’, a costo di trasferirsi persino in Ungheria dove pattinano i migliori, con lei aggregata alla squadra maschile magiara, perché puoi allevare la serpe in seno ma solo se non pattina le stesse gare. Poi però non si sono fidati più e Arianna e Anthony hanno dovuto fare da soli, a Bormio senza punti di riferimento. La medaglia di oggi dice che avevano un po’ ragione gli ungheresi a preoccuparsi e che avevano ragione anche Arianna e Anthony a seguire le sensazioni che li volevano insieme anche sul ghiaccio.
Alla fine è la pista che decide quale sia la squadra che vince, specie quando si riesce a essere così costanti in una disciplina così imprevedibile da consentire che vinca il peggiore perché quando si è tanti in poco ghiaccio e volano i gommini che delimitano la pista, toccarsi e cadere è un attimo. Lo sa bene Stephen Bradbury, eroe della Gialappa’s band a Salt Lake City nel 2002: australiano, vinse la improbabile delle medaglie d’oro perché gli caddero tutti davanti.
Arianna è l’esatto opposto di Bradbury: l’unica certezza, matematica, in mezzo agli imprevisti. Qualunque cosa succeda lei sarà lì. Milano-Cortina 2026 è ancora lontana ma Arianna non fa mistero di desiderare arrivare anche là, sarebbe un altro primato: non dev’essere capitato a molti iniziare in casa e finire in casa. E le 13 medaglie del signore della scherma Edoardo Mangiarotti, maestro di lame – altre lame ma che importa? – e di longevità a oggi non sembrano per lei un sogno proibito, semmai un di più. In questi giorni, senza troppo curarsi della discrezione, qualcuno le ha chiesto se non sarà tardi attendere il 2026 per allargare la famiglia. Arianna con nonchalance ha risposto senza scomporsi che, chissà, magari succede prima e poi si torna. Arianna non vuole mollare il suo filo. Pochi pattini nella storia possono vantarne uno così robusto.