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lunedì 09 settembre 2024
 
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Una giornata a scuola? Ormai è come una corsa a ostacoli

14/09/2020  Il diario di Francesca Viscone, 59 anni, dirigente dell’istituto Omnicomprensivo di Filadelfia, in provincia di Vibo Valentia

Francesca Viscone, 59 anni.
Francesca Viscone, 59 anni.

Bambini mascherati e contenti zaino in spalla, genitori incerti che tengono la mano, dirigenti e professori serenamente preoccupati. La scuola in tempi di pandemia è una scommessa per tutti. E l’inizio, che ogni anno non risparmia difficoltà di ogni sorta, in questo strano settembre sembra aver rispolverato tutto il suo fascino insieme a tutte le questioni irrisolte che da anni affliggono il primo suono della campanella. «I problemi ci sono e sono strutturali», tuona Francesca Viscone, 59 anni, dirigente dell’istituto Omnicomprensivo di Filadelfia, in provincia di Vibo Valentia. Racconta la sua scuola che è lo specchio di tante altre del Belpaese. «È molto grande e molto complessa: un istituto onnicomprensivo situato su 3 comuni dove ci sono tutti gli ordini e gradi: 4 scuole dell’infanzia, su tre comuni e una frazione, quattro scuole primarie, due secondarie di primo grado su due comuni diversi, un liceo scientifico e un istituto professionale».

L’avvio è sempre complicato, di più con le misure anti Covid. «Lo è per tutte le scuole. Intanto c’è un enorme ricambio di personale. Ogni anno occorre riprogrammare tutto come se si avesse un’azienda di media grandezza: io ho circa130 docenti più 35 Ata, arriva il personale  a settembre, lo si forma e al 40%  poi se ne va e arriva gente nuova. Ogni anno è così». Quando non vanno via subito dopo aver preso servizio perché hanno avuto un’assegnazione provvisoria altrove.

E poi ci sono i collaboratori scolastici: «A settembre si aprono i plessi e bisognerebbe avere collaboratori scolastici nel numero che è stato riconosciuto nell’organico, in modo da ripulire e rimettere in ordine, ma non succede mai nulla di tutto questo. Quest’anno, al 14 settembre me ne mancano 9: con le disposizioni anti Covid che ho sto facendo ruotare sempre la stessa squadra di titolari da un plesso all’altro per far igienizzare, sistemare i banchi, far prendere le misure. Alcuni non posso farli muovere perché sono persone anziane e con malattie che non riescono a sollevare pesi».

Quest’anno, tra l’altro, le scuole saranno anche seggio elettorale: «Noi, che il 19 finiamo di mettere a posto lavorando dal 17 agosto -ho fatto perdere le ferie a luglio al personale Ata per farlo rientrare il 17 agosto-, il 19 consegniamo le scuole ai Comuni, loro le rimettono sottosopra e ce le riconsegnano due giorni prima dell’apertura (in Calabria il 24 settembre, ndr)».

Problemi strutturali quest’anno ulteriormente gravati dalla mole di lavoro in più: «Negli anni passati non ci siamo mai preoccupati della distanza tra i banchi o della necessità di banchi singoli, né ci siamo mai potuti occupare del numero di alunni che formavano le classi. Oggi la mole di lavoro è enorme. E gli enti locali non sono molto consapevoli della tempistica della scuola: se sanno che la scuola inizia il 24 settembre, pensano di poter fare i lavori fino al 23. Mi sono ritrovata con una scuola primaria che ha avuto infiltrazioni d’acqua nel mese di marzo, un uragano si è portato via il tetto: l’amministrazione è intervenuta immediatamente a ripristinarlo, ma non si è intervenuti sulle infiltrazioni d’acqua interne. Non siamo stati avvisati, eravamo in lock down. A giugno ho rimandato i collaboratori scolastici a scuola e ho scoperto che versava in condizioni pessime. Da giugno a metà settembre, il Comune è riuscito a intervenire soltanto ora». Un altro Comune, ad esempio, «ha cambiato il nostro gestore telefonico senza chiederci se eravamo d’accordo. Ci hanno lasciato una sola linea: non riusciamo più neanche a fare le telefonate per le supplenze». Ma quest’anno almeno si interviene: «Sì, la Provincia ha mandato pochi giorni fa gli operai a prendere le misure per cambiare gli infissi in un plesso dove gli infissi  sono distrutti da anni. La necessità di far fronte all’emergenza Covid ha costretto in qualche modo gli enti locali a prendere coscienza di tutti quanti i problemi che si sono accumulati nel corso degli anni, che nel corso degli anni noi avevamo sempre segnalato e che sono stati semplicemente ignorati. Che gli infissi siano fatiscenti e che noi siamo stati costretti a inchiodare i balconi perché un soffio di vento li apriva è una cosa che segnalo da anni. Quest’anno il 9 settembre sono venuti a prendere le misure».

Il Covid, quindi, forse va anche ringraziato. «Il Covid ha svolto la funzione di acceleratore. Però noto che le cose si stanno affrontando con la solita mentalità italiana della gestione dell’emergenza. Non si capisce che è la normativa a dover essere cambiata: se io sono responsabile della sicurezza ed è colpa mia se in una classe piccola ci metto un numero eccessivo di alunni, è colpa mia al 50% perché è anche colpa di chi, al momento di assegnarmi l’organico, nell’assegnazione non tiene conto del rapporto alunni- metri quadrati e mi assegna l’organico sulla base di parametri che sono estremamente elevati. Se io non ho 32 alunni in una scuola dell'infanzia non mi vengono date due classi. Potrei avere classi piccolissime in cui entrano 10 alunni, ma se non ne ho 16 per classe non ne ho due, ne avrò una sola».

Vengono esasperate, in un periodo come questo, le contraddizioni del sistema. «Se si fosse pensato per tempo a garantire la qualità e la sicurezza dei bambini non ci saremmo ritrovati così. Che in una classe fosse necessario avere 1 metro virgola 8, lo sapevamo già, bastava rispettare quei parametri già stabiliti dalla normativa, fissati su carta me che nella realtà abbiamo sempre dovuto ignorare».

E poi ci sono i banchi, sono arrivati? «Me ne mancano circa 30 al professionale, ma ho risolto prendendone in prestito 15 dalla scuola media e 15 dal liceo, li faccio trasportare dal Comune e tampono fino a quando non arrivano quelli del Ministero. Ma ho una scuola primaria piccola con 42 alunni dove non ho un banco singolo». Come si fa? «Mettendo le classi numerose nella sala mensa, ad esempio, o facendo sedere gli alunni in una maniera strana».

Poi c’è il problema trasporti. «Non è immaginabile che la scuola si adegui alle difficoltà dei trasporti. Gli enti locali lo sanno da anni che il sistema dei trasporti non funziona. Però questo problema diventa esplosivo e non si può più nascondere ora, il Covid ha rivelato a tutti una serie di disfunzioni che noi abbiamo finora tollerato e ignorato negli anni. Che i pendolari stanno in piedi sull’autobus pigiati si sa da anni. Per quale ragione l’abbiamo sopportato finora? Noi stiamo gestendo l’emergenza, ma non stiamo facendo nulla per risolvere i problemi atavici della scuola. Ad esempio sarebbe bastato mettere mano al decreto legislativo che impone un certo numero di alunni legato a un certo numero di docenti, alla normativa, e in organico di fatto avremmo potuto avere più docenti che sarebbero automaticamente rimasti anche negli anni successivi. Non c’era bisogno di inventarsi l’organico Covid, bisognava cambiare la normativa. Soluzioni strutturali perché strutturali sono i problemi».

Comunque, nonostante tutto, si parte. «Grazie a un nucleo di docenti e Ata che crede nel suo lavoro. Ho gente che si porta il lavoro a casa e non mi chiede un’ora di recupero. Ci sono sì quelli che scaricano il lavoro sugli altri, ma c’è anche chi ritinteggia le classi, chi si improvvisa idraulico e non mi chiede niente. C’è uno zoccolo duro di docenti, collaboratori e assistenti amministrativi che lavorano nella stessa scuola da anni e non cede. La scuola si salva grazie a loro».

 

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