In comune hanno la passione per l’umano. Una laica, una suora e un sacerdote Fidei donum. In tre luoghi del mondo annunciano il Vangelo e hanno trovato e testimoniato Cristo nell’uomo e nelle ferite inferte agli uomini. Cristina Togni, suor Giannantonia Comencini e don Tarcisio Moreschi. Sono i tre vincitori del Premio “Cuore Amico” 2017. La cerimonia di consegna si è svolta sabato a Brescia nel corso del Festival nazionale della missione alla presenza del cardinale Ernst Simoni, unico e ultimo sacerdote sopravvissuto alle persecuzioni del regime comunista in Albania. A presentare c’’era Licia Colò che ha evidenziato «la luce meravigliosa che brilla negli occhi di questi missionari».
Cristina Togni, l'angelo dei disabili nella Cambogia che li esclude
Cristina Togni fa parte delle Comunità di Missionarie Laiche del Pime (Pontificio Istituto Missioni estere) che raggruppa tutte quelle donne che desiderano offrire la vita per la missione e nasce nel 1989 a Busto Arsizio. Fra le ragazze che ne compongono il primo nucleo c’è Cristina Togni. Desiderosa di intraprendere un’esperienza di servizio e fraternità ai più bisognosi, nel 1996 parte per la Cambogia, Paese che vive in profonda miseria per le guerre che lo hanno insanguinato fino agli anni ’90 del secolo scorso. «Sono partita spinta da un qualcosa che ho sentito dentro: una grazia, un dono», ha raccontato a Brescia. Da missionaria comincia ad occuparsi dei tanti bisogni della popolazione e viene colpita specialmente dalla condizione di emarginazione e sofferenza in cui vivono le persone con disabilità fisica e mentale, presenti in gran numero ed emarginate perché giudicate, nella religiosità di quel popolo, punite dal karma per colpe commesse nelle vite precedenti. Cristina fa del servizio a persone disabili la propria missione, con una particolare attenzione a bambini e ragazzi, per garantire loro una vita dignitosa, meritevole dell'aggettivo "umana". Ecco dunque che Cristina dà vita ad un Centro di ospitalità diurna per bambini, giovani e adulti portatori di disabilità e a una specifica iniziativa di educazione e cura rivolta ai disabili mentali, e poi è inserita nel lavoro di una scuola professionale, la prima a Bantey Priep, per persone con difficoltà psichiche, in collaborazione con i Gesuiti presenti nella città. Con il premio (50mila euro), vuole aiutare le comunità cristiane, la scuola dei Gesuiti e dei bambini autistici, situate nelle varie zone del Paese.
Suor Giannantonia, missionaria a 97 anni in Eritrea
Suor Giannantonia Comencini ha 97 anni e una memoria vivida. Nasce il 21 luglio 1920 a Castion Veronese (Verona), ultima di 11 fratelli e sorelle e unica ad accedere agli studi. Dopo essersi diplomata come maestra e aver cominciato a insegnare, manifesta la sua vocazione religiosa e sceglie di entrare tra le Pie Madri della Nigrizia, le missionarie comboniane. Nel 1948 parte per l’Eritrea dove rimarrà per 69 anni. «Arrivai ubriaca dal dolore e dalla fatica a causa della forte febbre», ha detto raccontando un episodio che le capitò tra i banchi di scuola quando, dopo aver trovato una busta per raccogliere soldi destinati alla missione, vi scrisse «Signore, tu sai che ti amo. Oggi ti dono un po’ del mio stipendio, domani ti darò la vita».
Durante tutta la sua vita insegna instancabilmente e, per i suoi alunni, semina sogni, speranze, futuro in una terra dove, per anni, l’unico linguaggio conosciuto è stato quello della guerra, della precarietà, della paura. Educa al rispetto vicendevole, alla conoscenza di nozioni culturali e religiose, alla speranza, instillando gocce di pace. Un lavoro certosino, minuto, invisibile, apparentemente nascosto ma che ha dato e dà ancora i suoi frutti. Ancora oggi in Eritrea, Paese in cui le situazioni di precarietà sembrano infinite, suor Giannantonia, a 97 anni, continua a dedicarsi anche all'umanità emarginata, dimenticata, esclusa; agli impoveriti, i più poveri tra i poveri. Li va a cercare là dove nessuno andrebbe, per paura o per pigrizia. Vuole non solo assisterli, ma renderli autonomi e protagonisti della propria riuscita. Suor Giannantonia va ancora a piedi a cercare “gli ultimi degli ultimi”. I soldi del premio serviranno a costruire un asilo per i bambini «che non hanno niente», ha detto.
Don Tarcisio, il prete con la passione per l'Africa
Licia Colò definisce un «prete vulcanico» don Tarcisio Moreschi, missionario fidei donum in Tanzania dal 1976. La passione per l’Africa è forte in don Tarcisio e comincia da quando, ancora seminarista, a ventun anni fa un’esperienza come insegnante in un seminario del Burundi. Dal 1976 viaggia per l’Africa tra Burundi, Repubblica Democratica del Congo (allora Zaire) e Tanzania costruendo chiese, cappelle, scuole, orfanotrofi, pozzi ma, soprattutto, animando la vita spirituale delle comunità cristiane che incontra. Dal 1993 in Tanzania ha realizzato un ospedale, la chiesa parrocchiale di Ilembula, un centro per bambini disabili, scuole materne, case-famiglia e un orfanotrofio per accogliere tantissimi orfani presenti nella zona, oltre ad un servizio di assistenza sanitaria per mamme sole ammalate di Aids/Hiv, molto presenti sul territorio. In Tanzania, come ogni missionario, che semina la parola di Dio e aiuta la gente laddove inviato, don Tarcisio si sta prodigando per andare incontro alle necessità della popolazione dei villaggi di Ilembula e Mtwango, sostenendo in particolare la scolarizzazione di bambini e giovani, i tantissimi orfani che vivono presso parenti o in case-famiglia, le mamme ammalate di Aids, le persone e le famiglie bisognose alle quali offre kit alimentari. Ha detto che destinerà i soldi del premio a due villaggi di orfani, a un centro di riabilitazione di bambini disabili, a giovani e e malati di AIDS. «Il mio sogno», aggiunge «è anche quello di aiutare le clarisse che abitano in un villaggio nel sud della Tanzania che hanno desiderio di trasferirsi in un convento più vicino alla città».