Sarà pure un vescovo poco «carismatico e trascinatore», come ha detto lui stesso dopo la nomina, ma la sua immagine sorridente e l’ironia felpata attirano rapidamente le simpatie della gente. «È simpaticissimo, quello ironico è il linguaggio giusto per questa metropoli un po’ triste», dice la signora Maria, in Duomo, dove monsignor Mario Delpini ha appena finito di parlare. «È simpatico e fa ridere, un vescovo positivo e gioioso», sintetizza Chiara da Varese che fa parte del Coro della Pastorale Giovanile “Shekinah”. Anna da Milano: «Dice le cose in modo leggero e semplice però arrivano al cuore, si vede che conosce le persone a cui si rivolge». Don Mirko Motta, 28 anni, da tre prete a Gallarate, abbozza un sorriso: «Sono molto contento di questa nomina, Delpini è molto attento al cammino di noi preti giovani. La chiesa ambrosiana è ricca di risorse e di tradizione, però adesso serve una svolta, energie nuove. Noi giovani abbiamo bisogno di entusiasmo».
Il neo arcivescovo di Milano, che entra ufficialmente in diocesi il 24 settembre, ha detto di non avere programmi pastorali ma la volontà di ascoltare tutti e condividere, così da supplire «alla modestia delle mie qualità con un cammino di popolo». L’agenda di queste settimane, spiccatamente pastorale, è già più di un indizio di quel che sarà: ritorno all’essenziale del Vangelo, cura delle relazioni umane nella vita di tutti i giorni, preghiera, sacramenti e carità. E l’invocazione di un dono che Delpini considera cruciale per i milanesi laboriosi ma spesso preoccupati e lamentosi: il «dono della gioia». Lui, s’intende, già contribuisce con il suo understatement da prete semplice, sorridente, cordiale. Si ferma a parlare con la gente che fuori dal Duomo lo ferma per un augurio, la richiesta di un consiglio, una preghiera. Senza gli abiti pontificali appare più a suo agio. Un gruppo di fedeli si avvicina e lui abbozza una benedizione quasi scherzosa. La diocesi più grande del mondo, con le sue mille e più parrocchie che abbracciano mezza Lombardia, lo attende con il suo stile: sobrio, misurato, concreto.
Asfa Mahmoud è presidente della Casa di cultura musulmana di via Padova
Asfa Mahmoud: Spero che ci aiuti ad avere una moschea per i 100mila musulmani di Milano
Il sindaco Giuseppe Sala dice che «le sue prime parole rivolte a Milano hanno dato subito il segno della strada che monsignor Delpini intende intraprendere: un cammino semplice, gioioso, inclusivo e, allo stesso tempo, in continuità con la concretezza e la solidità che hanno caratterizzato il ministero di Angelo Scola». Promette leale collaborazione: «Siamo pronti a dare la nostra piena collaborazione per trovare insieme le soluzioni più adatte ad affrontare un periodo complesso come l’attuale», contando sul fatto che Delpini «ha passato tutta la sua vita nella diocesi ambrosiana e conosce Milano e il suo territorio in modo profondo, realistico e fraterno. Per questo sono certo che sarà semplice costruire con lui la stessa consonanza di valori, stile e percorsi che ha caratterizzato il rapporto con il suo predecessore».
Milano è anche la città del volontariato, del bene fatto con discrezione, di tanti samaritani che si prendono cura degli altri senza troppi fronzoli. Alleviano la fatica di vivere, riscaldano la solitudine, impediscono la consunzione della speranza. Don Virginio Colmegna, che guida la Casa della Carità, tra Crescenzago e il quartiere Adriano, alla periferia nordest della città, ne conosce tanti: «Da vicario generale, monsignor Delpini è venuto a trovarci diverse volte, per noi è uno di casa», dice don Virginio. Gli chiediamo quali sono le priorità del nuovo arcivescovo: «L’annuncio del Vangelo, come ricorda spesso il Papa, si fa per attrazione. E accogliere i poveri, abbracciare la povertà come categoria teologica, è il primo passo per suscitare questa attrazione. Delpini saprà rafforzare nella nostra chiesa un volto di apertura e dialogo con tutti, partendo proprio da quella che il cardinale Martini chiamava l’eccedenza della carità». Al nuovo arcivescovo don Virginio chiede anche il «coraggio della profezia», che diventi «quotidianità» perché, precisa, «una pastorale che è segnata dalla profezia è la pastorale di una Chiesa di comunione».
Ci spostiamo in via Padova, altra zona calda della Milano multietnica. Asfa Mahmoud, volto moderato dell'Islam milanese, è presidente della Casa della cultura musulmana che ha sede al civico 144. Chiama Delpini il «nostro arcivescovo» e spiega: «Sono molto contento che abbia detto di aver bisogno dell’apporto di tutti per guidare la diocesi. Questo vuol dire che il dialogo con la comunità musulmana continuerà come è stato con i suoi predecessori: Martini, Tettamanzi e Scola». La priorità? «Approfondire il dialogo, incontrarsi, perché solo con la conoscenza reciproca tra le diverse religioni e culture possono cadere i pregiudizi e i muri e si possono costruire i ponti». C’è un tema che sta particolarmente a cuore a Mahmoud: la costruzione della moschea. «In città siamo centomila musulmani, lavoriamo, paghiamo le tasse», dice, «però non abbiamo un luogo degno per andare a pregare. Noi immigrati della prima generazione siamo abituati a pregare negli scantinati ma i nostri figli non capiscono perché i loro compagni cattolici o ebrei possano andare in chiese e sinagoghe bellissime e loro no. Spero che il nostro arcivescovo ci dia una mano per risolvere questo problema e si faccia portavoce anche con le altre istituzioni».