Wes Anderson è uno dei pochi registi che oggi riesce a essere sia impegnato che popolare. Ha creato una cifra stilistica unica, ben riconoscibile, su cui gioca, che ama ripetere. Il suo è un universo pieno di colori, rimandi artistici, omaggi a quadri e vignette. Le tinte pastello si fondono con i toni da commedia trattenuta, surreale. Non sempre i meccanismi sono ben oliati, il montaggio ultraveloce può creare sensazioni stranianti, fredde, dove tutto scorre ma nulla resta. In Asteroid City (in concorso al Festival di Cannes) Anderson rallenta un po’ il ritmo rispetto a The French Dispatch. Si sofferma di più sui suoi protagonisti, riduce l’ipertrofia. Dà vita a un gruppo di personaggi in cerca d’autore, in cui il cinema si sostituisce al palcoscenico.
Come sempre la storia scaturisce dalla mente di un narratore d’eccezione, la magia si mescola all’attualità. C’è il deserto, i tratti di Norman Rockwell, un’anima anche da Looney Tunes. La città è la ricostruzione di un set. O forse è la realtà? È il potere delle immagini, il brivido dell’illusione. I destini si intersecano, le linee narrative si moltiplicano. Siamo lontani da Grand Budapest Hotel (anche se la confezione è simile), dalla sensibilità di Moonrise Kingdom. Solo il flirt tra Scarlett Johansson e Jason Schwartzman rievoca quell’atmosfera romantica. Però Asteroid City è più coraggioso. Prova a lanciarsi nello spazio, a essere un Incontri ravvicinati del terzo tipo poco extra e molto terrestre. Si ride, a denti stretti. I vagoni di Quel treno per Darjeeling cedono il passo alle astronavi. Siamo nel mezzo di un convegno di astronomia. Si osservano le stelle, nascono amori, fino a quando arriva qualcosa di non identificato, e la cittadina viene messa in quarantena.
È come se il cineasta ragionasse su sé stesso, si specchiasse nell’oggi. Una comunità chiusa, un “lockdown” per un’entità che non conosciamo, che non possiamo prevedere. Asteroid City è l’allegoria di un contemporaneo fuori dagli schemi, ma molto concreto. Dalla pandemia all’osservazione del cielo, dalla “sabbia” ai sogni, dove la parata di star è un marchio di fabbrica. Qui spiccano tra gli altri Tom Hanks, Tilda Swinton, Edward Norton e Willem Dafoe. Anderson resta fedele ai suoi canoni, strizza l’occhio ai fan, si conferma sempre prolifico dietro la macchina da presa, e in questo caso riesce a regalare qualche sussulto in più.