E’ un peccato che l’ideale trilogia che Mario Martone ha composto sulla nostra storia tra Ottocento e Novecento, iniziata con Noi credevamo e proseguita con Il giovane favoloso, si chiuda con l’episodio di gran lunga più debole.
Capri-Revolution, terzo e ultimo film italiano in gara per il Leone d'oro a Venezia, trae ispirazione dalla comune guidata dal pittore Wilhelm Diefenbach sull’isola nei primi anni del Novecento. Isola che ancora era ben lontana dal conoscere i fasti dei decenni successivi.
La protagonista della storia è Lucia (Marianna Fontana, una delle due gemelle di “Indivisibili”), che a vent’anni si ostina a voler portare a pascolare le capre anziché sposarsi con il brutto vedovo che le hanno imposto i fratelli. In lei l’ansia di libertà è più forte di tutto e trova appagamento quando entra in contatto con questa comunità di stranieri, uomini, donne, bambini (“Di chi sono”?, chiede lei”, “Di tutti”, risponde una di loro) che hanno occupato una parte dell’isola e passano le giornate a prendere nudi il sole, mentre di notte, sempre come mamma li ha fatti, si lanciano in danze sensuali che avrebbero come fine quello di elevare il loro spirito. A guidarli è un pittore, Seybu, un guru che ha eretto in una grotta il suo tempio e che sostiene che solo l’arte salverà il mondo.
Trascorre così un’ora abbondante in cui la vita di questi proto hippy non suscita il benché minimo interesse. Per fortuna poi la Storia, quella vera, irrompe perché da un giornale apprendiamo che è scoppiata la prima Guerra Mondiale. Tutto cambia, tranne per gli hippy che continuano a vivere come se nulla fosse.
L’aspetto più interessante del film è il percorso di maturazione che compie Lucia, il suo desiderio di sganciarsi dal mondo arcaico in cui è cresciuta per diventare una donna davvero libera, anche se in questo percorso alcune tappe risultano un po’ forzate (possibile che le bastino pochi mesi di frequentazione con i ragazzi della Comune per passare da analfabeta a divoratrice di libri che parla un inglese quasi impeccabile?).
Non si può inoltre negare che Martone si confermi un signor regista e anche tutti i suoi collaboratori hanno fatto sì che Capri-Revolution sia da un punto di vista visivo un’opera affascinante. Ma, forse al di là delle sue intenzioni, sembra che dal film trapeli un certo snobismo nei confonti della civiltà contadina ritratta solo nei suoi aspetti più retrivi e stereotipati, a confronto dell’evidente ammirazione mostrata invece per l’utopia di questi giovani tutti bellissimi, coltissimi e alla fine francamente insopportabili.