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martedì 03 ottobre 2023
 
 

Una scommessa tira l’altra

21/06/2012  Il gioco d’azzardo è in Italia un fenomeno in costante e vertiginosa espansione. Per frenarlo servono interventi mirati e unità di intenti

 Un giro d’affari di almeno 80 miliardi all’anno: tanto vale, oggi, secondo gli studi fatti, la passione degli italiani per il gioco d’azzardo e poco importa se si tratta di roulette, poker o lotterie. Per non parlare di quel fenomeno dello scommesse che sta scuotendo il mondo del calcio, a tutti i livelli; uno scandalo che una volta di più rischia di far perdere credibilità a uno sport che, in Italia, perde anno dopo anno fascino e romanticismo. Uno sport in cui non solo i giocatori combinano le partite, puntano cifre che fanno vergognare la maggior parte degli italiani e giocano in squadre che, in alcuni casi, hanno come main sponsor proprio case di scommesse: non esettamente un esempio di stile. Sembra che il caso “Scommessopoli” abbia risvegliato le coscienze: non è uno scherzo, non ci troviamo di fronte a una banda di disperati ma siamo di fronte a una vera emergenza. Perché la febbre del gioco, si sa, quando ti colpisce non ti molla più: un nemico difficile da sconfiggere, una vera dipendenza alla stregua di alcol e droga e che come tale va curata con i modi (e le sofferenze) che una patologia comporta. A lanciare l’allarme a livello nazionale ci hanno pensato Acli, Alea, Anci, Arci, Auser, Avviso Pubblico, Cgil, Cnca, Conagga, Federconsumatori, FEdersend, Fict, Fitel, Gruppo Abele, InterCear, Libera e Uisp: tante sigle, un obiettivo comune, cioè mettere in guardia contro i rischi del gioco d’azzardo attraverso una campagna che sarà scandita da incontri, seminari e workshop, per parlare di questo tema delicato anche da punti di vista “inediti” come le correlazioni con i costi sanitari, sociali, relazionali e legali che la sua diffusione inevitabilmente comporta. Una diffusione tanto capillare da aver portato l’Italia al primo posto mondiale, tristemente, per la spesa pro capite dedicata al gioco: alcune stime parlano di un 2,2 per cento della popolazione adulta italiana a rischio o vittima di una patologia legata al gioco d’azzardo. Se si vuole ottenere una sterzata, una decisa inversione di tendenza, serve maggiore chiarezza. A partire proprio da quello Stato che poi deve sostenere i costi che il gioco d’azzardo porta inevitabilmente con sé. Basta pensare al fatto che è il ministero del Tesoro e delle Finanze stesso, fruitore non certo disinteressato alle entrate economiche provenienti dal mercato d’azzardo, che al contempo assume il ruolo di colui che deve tutelare i cittadini dalle conseguenze sociali e sanitarie correlate alle dipendenze patologiche indotte dalla progressiva espansione del settore. Non sarebbe forse lecito attendersi che, in uno Stato civile, per maggiore trasparenza nei confronti dei cittadini, sia un organo differente, completamente disinteressato, a occuparsi della vigilanza sul fenomeno?

Di sicuro la situazione è scappata di mano, varcando anche la soglia della legalità: dove si muovono ingenti cifre di denaro, come insegna anche Roberto Saviano, infatti, arriva sempre, prima o poi (ma più facilmente prima che poi), la grande mano della criminalità organizzata che non ha voluto rinunciare a cuor leggero a una fetta di mercato tanto importante e che, tra l’altro, consente con una certa facilità anche quell’operazione di riciclaggio che “pulisce” il denaro derivante da attività illecite di altra natura. La relazione della Commissione parlamentare antimafia del 2011, d’altronde, suona più che un semplice campanello d’allarme: le inchieste della magistratura e il rapporto di Libera “Azzardopoli” dimostrano senza possibilità di fraintendimenti che il business del gioco d’azzardo è diventato un interesse specifico di infiltrazioni delle mafie e l’espansione del gioco d’azzardo legale non contiene, ma anzi incentiva, quello illegale. Con tutto quello che ne consegue, a cominciare dall’usura, strumento antico eppure sempre efficace attraverso cui le grandi organizzazioni criminali conquistano autorità, arricchendosi, sul territorio. Minacce e paura, debiti e tassi di rientro insostenibili. Con la campagna “Mettiamoci in gioco”, istituzioni, organizzazioni di terzo settore, sindacati, gruppi di giocatori patologici in trattamento e associazioni di consumatori intendono costringere chi di dovere ad alzare il livello di guardia sul fenomeno per contenere l’espansione incontrollata del gioco d’azzardo, accrescere la tutela per la collettività e i giocatori, sostenere gli interventi a favore dei giocatori patologici.

Come? Dandosi degli obiettivi e delle priorità che, come in una lista della spesa, il manifesto della campagna sintetizza nei seguenti cinque punti. Chiari e non negoziabili:

1. Porre un freno, da parte dello Stato, al modello di “liberalizzazione controllata” del gioco d’azzardo in Italia, che si è progressivamente trasformato in insidiosa “deregulation”, come testimonia l’abnorme espansione delle proposte di giochi in ogni Comune d’Italia. Nel frattempo si chiede una moratoria rispetto all’immissione di nuovi giochi, sia per quantità sia per qualità, e la rinuncia ad ampliare ulteriormente la raccolta e i ricavi derivanti dall’azzardo, anche nel caso di nuove emergenze nazionali che richiedono l’immediato introito di risorse.

2. Restituire un potere decisionale alle comunità locali, ora espropriate di ogni funzione di “governo” del fenomeno: i sindaci non possono intervenire sulle licenze, perché totalmente scavalcati dall’attuale legge dello Stato.

3. Impedire la pubblicità del gioco d’azzardo con appositi divieti, non diversamente da quanto avviene per il tabacco. Pur consapevoli della normativa europea in merito, i promotori ritengono che gli Stati nazionali debbano riaprire il confronto sull’intera questione all’interno della Commissione e nello stesso Parlamento di Strasburgo.

4. Inserire il gioco d’azzardo patologico all’interno dei Livelli Essenziali di Assistenza previsti per i servizi sanitari, con una normativa volta a equiparare il diritto alle cure e l’accesso gratuito e diretto ai servizi già garantiti nelle altre forme di dipendenza patologica. Al fine di rendere sostenibili i costi di tale equiparazione si propone di devolvere l’1 per cento del fatturato complessivo sul gioco alla riparazione dei danni direttamente o indirettamente provocati dall’espansione del fenomeno. Le risorse da reperire potrebbero essere così ripartite: per un terzo dalla riduzione delle vincite, per un altro terzo dagli introiti fiscali dello Stato, per il rimanente terzo dai profitti dei concessionari e gestori.

5. Costituire un tavolo di confronto con le associazioni e i servizi impegnati nel settore, al fine di definire i criteri e le iniziative di una corretta ed efficace campagna di educazione al gioco e di prevenzione dei rischi indotti dal gioco d’azzardo. Nello stesso tempo, si chiede la chiusura definitiva della campagna “Giovani e Gioco” realizzata nelle scuole dai Monopoli di Stato, di cui è stata segnalata da più parti la discutibile impostazione.

 
 
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