Un
giro d’affari di almeno 80 miliardi all’anno: tanto vale, oggi,
secondo gli studi fatti, la passione degli italiani per il gioco
d’azzardo e poco importa se si tratta di roulette, poker o
lotterie. Per non parlare di quel fenomeno dello scommesse che sta
scuotendo il mondo del calcio, a tutti i livelli; uno scandalo che
una volta di più rischia di far perdere credibilità a uno sport
che, in Italia, perde anno dopo anno fascino e romanticismo. Uno
sport in cui non solo i giocatori combinano le partite, puntano cifre
che fanno vergognare la maggior parte degli italiani e giocano in
squadre che, in alcuni casi, hanno come main sponsor proprio case di
scommesse: non esettamente un esempio di stile. Sembra che il caso
“Scommessopoli” abbia risvegliato le coscienze: non è uno
scherzo, non ci troviamo di fronte a una banda di disperati ma siamo
di fronte a una vera emergenza. Perché la febbre del gioco, si sa,
quando ti colpisce non ti molla più: un nemico difficile da
sconfiggere, una vera dipendenza alla stregua di alcol e droga e che
come tale va curata con i modi (e le sofferenze) che una patologia
comporta. A lanciare l’allarme a livello nazionale ci hanno pensato
Acli, Alea, Anci, Arci, Auser, Avviso Pubblico, Cgil, Cnca, Conagga,
Federconsumatori, FEdersend, Fict, Fitel, Gruppo Abele, InterCear,
Libera e Uisp: tante sigle, un obiettivo comune, cioè mettere in
guardia contro i rischi del gioco d’azzardo attraverso una campagna
che sarà scandita da incontri, seminari e workshop, per parlare di
questo tema delicato anche da punti di vista “inediti” come le
correlazioni con i costi sanitari, sociali, relazionali e legali che
la sua diffusione inevitabilmente comporta. Una diffusione tanto
capillare da aver portato l’Italia al primo posto mondiale,
tristemente, per la spesa pro capite dedicata al gioco: alcune stime
parlano di un 2,2 per cento della popolazione adulta italiana a
rischio o vittima di una patologia legata al gioco d’azzardo.
Se
si vuole ottenere una sterzata, una decisa inversione di tendenza,
serve maggiore chiarezza. A partire proprio da quello Stato che poi
deve sostenere i costi che il gioco d’azzardo porta inevitabilmente
con sé. Basta pensare al fatto che è il ministero del Tesoro e
delle Finanze stesso, fruitore non certo disinteressato alle entrate
economiche provenienti dal mercato d’azzardo, che al contempo
assume il ruolo di colui che deve tutelare i cittadini dalle
conseguenze sociali e sanitarie correlate alle dipendenze patologiche
indotte dalla progressiva espansione del settore. Non sarebbe forse
lecito attendersi che, in uno Stato civile, per maggiore trasparenza
nei confronti dei cittadini, sia un organo differente, completamente
disinteressato, a occuparsi della vigilanza sul fenomeno?
Di sicuro la situazione è scappata di mano, varcando anche la soglia
della legalità: dove si muovono ingenti cifre di denaro, come insegna
anche Roberto Saviano, infatti, arriva sempre, prima o poi (ma più
facilmente prima che poi), la grande mano della criminalità organizzata
che non ha voluto rinunciare a cuor leggero a una fetta di mercato tanto
importante e che, tra l’altro, consente con una certa facilità anche
quell’operazione di riciclaggio che “pulisce” il denaro derivante da
attività illecite di altra natura. La relazione della Commissione
parlamentare antimafia del 2011, d’altronde, suona più che un semplice
campanello d’allarme: le inchieste della magistratura e il rapporto di
Libera “Azzardopoli” dimostrano senza possibilità di fraintendimenti che
il business del gioco d’azzardo è diventato un interesse specifico di
infiltrazioni delle mafie e l’espansione del gioco d’azzardo legale non
contiene, ma anzi incentiva, quello illegale. Con tutto quello che ne
consegue, a cominciare dall’usura, strumento antico eppure sempre
efficace attraverso cui le grandi organizzazioni criminali conquistano
autorità, arricchendosi, sul territorio. Minacce e paura, debiti e tassi
di rientro insostenibili. Con la campagna “Mettiamoci in
gioco”, istituzioni, organizzazioni di terzo settore, sindacati, gruppi
di giocatori patologici in trattamento e associazioni di consumatori
intendono costringere chi di dovere ad alzare il livello di guardia sul
fenomeno per contenere l’espansione incontrollata del gioco d’azzardo,
accrescere la tutela per la collettività e i giocatori, sostenere gli
interventi a favore dei giocatori patologici.
Come? Dandosi degli obiettivi e delle priorità che, come in una lista
della spesa, il manifesto della campagna sintetizza nei seguenti cinque
punti. Chiari e non negoziabili:
1. Porre un freno, da parte
dello Stato, al modello di “liberalizzazione controllata” del gioco
d’azzardo in Italia, che si è progressivamente trasformato in insidiosa
“deregulation”, come testimonia l’abnorme espansione delle proposte di
giochi in ogni Comune d’Italia. Nel frattempo si chiede una moratoria
rispetto all’immissione di nuovi giochi, sia per quantità sia per
qualità, e la rinuncia ad ampliare ulteriormente la raccolta e i ricavi
derivanti dall’azzardo, anche nel caso di nuove emergenze
nazionali che richiedono l’immediato introito di risorse.
2. Restituire
un potere decisionale alle comunità locali, ora espropriate di ogni
funzione di “governo” del fenomeno: i sindaci non possono intervenire
sulle licenze, perché totalmente scavalcati dall’attuale legge dello
Stato.
3. Impedire la pubblicità del gioco d’azzardo con appositi
divieti, non diversamente da quanto avviene per il tabacco. Pur
consapevoli della normativa europea in merito, i promotori ritengono che
gli Stati nazionali debbano riaprire il confronto sull’intera questione
all’interno della Commissione e nello stesso Parlamento di Strasburgo.
4. Inserire il gioco d’azzardo patologico all’interno dei Livelli
Essenziali di Assistenza previsti per i servizi sanitari, con una
normativa volta a equiparare il diritto alle cure e l’accesso gratuito e
diretto ai servizi già garantiti nelle altre forme di dipendenza
patologica. Al fine di rendere sostenibili i costi di tale equiparazione
si propone di devolvere l’1 per cento del fatturato complessivo sul
gioco alla riparazione dei danni direttamente o indirettamente provocati
dall’espansione del fenomeno. Le risorse da reperire potrebbero essere
così ripartite: per un terzo dalla riduzione delle vincite, per un altro
terzo dagli introiti fiscali dello Stato, per il rimanente terzo dai
profitti dei concessionari e gestori.
5. Costituire un tavolo di
confronto con le associazioni e i servizi impegnati nel settore, al fine
di definire i criteri e le iniziative di una corretta ed efficace
campagna di educazione al gioco e di prevenzione dei rischi indotti dal
gioco d’azzardo. Nello stesso tempo, si chiede la chiusura definitiva
della campagna “Giovani e Gioco” realizzata nelle scuole dai Monopoli di
Stato, di cui è stata segnalata da più parti la discutibile
impostazione.