Le scrivo in merito alla vicenda della
benedizione pasquale nelle scuole di
Bologna. Qualcosa di simile è avvenuto
anche nel territorio della mia parrocchia,
dove la Direzione scolastica
ha deciso, applicando il regolamento,
che la tradizionale benedizione pasquale
non potrà avvenire durante l’orario scolastico
per non discriminare gli studenti non
cattolici. Visto che l’accoglienza del prete da
parte dei docenti e degli alunni è sempre stata
cordiale e serena, e che il semplice gesto
di preghiera è proposto e non imposto, non
divide ma piuttosto avvicina i ragazzi di fedi
diverse, mi chiedo se questa norma tuteli davvero
tutti e non discrimini nessuno.
Si dice che la scuola di Stato è laica, ma
chiediamoci che cosa si intende con ciò. Saremmo
davvero fuori strada se volesse significare che al suo interno non c’è spazio per la
religione, e che l’esperienza religiosa non ha diritto di cittadinanza nella vita pubblica. Si
tratterebbe, nel caso, di laicismo, cioè di una
visione del mondo e dell’uomo che esclude
Dio. Sarebbe una “nuova religione” che verrebbe
imposta agli studenti.
Ma chi l’ha detto
che per rispettare la fede degli altri si debba
nascondere la propria? Una preghiera non
discrimina nessuno. L’offesa, semmai, è deridere
i simboli delle altre religioni, non riconoscerne
il valore, considerarle pericolose o
negare i luoghi dove riunirsi a pregare.
La scuola dovrebbe favorire l’integrazione
ed educare i ragazzi a dialogare e confrontarsi
con chi ha un credo diverso. Invece, quando si
nega una manifestazione pubblica della fede,
perché si ritiene che possa offendere chi la
pensa diversamente, è questo che fa percepire
la religione dell’altro come un pericolo, alimentando
paure e dif denze. Per dialogare
con le altre culture non devo fare tabula rasa
della mia storia e delle mie tradizioni. Eliminare ogni colore dalla scuola perché nessuno
si senta discriminato, è una sorta di violenza,
impone un pensiero unico. Preferisco una
scuola che accoglie e rispetta i “colori” di tutti.
DON MICHELE L.
È giusto rispettare i diritti di tutti. E, paradossalmente,
mi verrebbe da aggiungere
che andrebbero rispettati anche i diritti
della maggioranza. In alcune scuole di
Bologna, nel nome della laicità dello
Stato, è stata impedita la consueta benedizione
pasquale, che è sempre avvenuta al di
fuori degli orari scolastici, e a cui partecipavano
solo i bambini che lo desideravano, accompagnati
dai loro genitori. Nessun obbligo o forzatura. Più
che ricorrere al Tar, questi paladini della laicità
dovrebbero far ricorso al buon senso, cominciando
intanto a rispettare una decisione votata dalla
stragrande maggioranza dei genitori e degli insegnanti.
Non c’è nulla di peggio dell’intolleranza
di chi si fa paladino – spesso nemmeno
richiesto – dei diritti di qualcun altro.
Come ricorda don Michele, bisogna davvero
intendersi sul termine laicità e che cosa voglia
dire uno “Stato laico”. Spesso si confonde la laicità
o la neutralità con un atteggiamento ostile nei
confronti della religione cattolica, che si vorrebbe
bandire dalla vita pubblica e ridurla a un fatto
puramente privato, da relegare nell’intimo delle
coscienze o dei recinti sacri. Molti vivono la religione
come un fatto arcaico, estraneo a una società
moderna, che non si pone più il problema
di Dio e vive come se Dio non esistesse. Ma una
società che non dà cittadinanza pubblica a Dio