Il 15 gennaio scorso, alla festa
che la parrocchia di San Lorenzo
Giustiniani le aveva preparato
per i suoi 90 anni, c’erano davvero
tutti: i tre figli, i nipoti, amiche
e amici e pure i figli degli amici.
Tutti venuti ad abbracciare nonna
Emma. Tra di loro c’era pure
un giovanotto africano, giubbotto
sportivo e sguardo gentile, con una
bottiglia di champagne in mano, da
stappare in onore della festeggiata.
In effetti Bakary Bamba, 38 anni,
originario della Costa d’Avorio, un
motivo per augurarle buon compleanno
ce l’aveva. La nonna, come l’ha
sempre chiamata, l’ha ospitato in
casa per quasi un anno, dal 2014 fino
all’estate scorsa, quando s’è trasferito
in un appartamento tutto suo, in un
Comune a una decina di chilometri
dalla Cipressina, il quartiere alla periferia
di Mestre dove vive Emma Brusò.
Una storia di solidarietà, uno tra i
tanti sconosciuti esempi d’accoglienza
che sfuggono ai riflettori dei media
e ai radar delle statistiche.
«Tutto nacque da una nostra
idea», racconta il figlio maggiore Fabio:
«Conoscevamo Bakary da un
paio d’anni e sapevamo della sua necessità
di trovare in fretta un alloggio
temporaneo».
Il giovane migrante, arrivato in
Italia dalla Libia nel 2011, dopo esser
stato rapito, segregato in un campo di
prigionia e imbarcato per Lampedusa,
era approdato in Veneto quasi subito
in qualità di richiedente asilo e viveva
in una condizione di precarietà,
senza alloggio e senza lavoro. «Da pochi
mesi ero uscito dall’inferno in
cui mi avevano relegato assieme a
tante decine di immigrati, costretti
in uno squallido appartamento di
Mestre, in condizioni d’affollamento
così disumane da indurre le autorità
a chiudere quel ghetto», racconta il
giovane, che in Libia lavorava come
autista per l’ambasciata ivoriana.
CHIEDIAMOLO A MAMMA. Un po’ meno
peggio si sarebbe rivelata la sistemazione
successiva, in una stanza
d’albergo di Dolo, sulla riviera del
Brenta, lontana dalla località dove
l’immigrato prestava servizio presso
un’associazione di volontariato. Una
situazione poco sostenibile a lungo
andare, anche da chi era disposto a
fare i salti mortali pur di rimanere in
questo Paese.
«Perché, allora, non chiedere a nostra
madre di ospitarlo nella sua casa,
dove vive ormai da sola da qualche
tempo?», spiega Fabio. Ma l’anziana
signora avrebbe accettato di portarsi
in casa uno sconosciuto? Un giovane
africano con una vedova avanti negli
anni e per di più sola? E che avrebbero
mormorato i vicini di casa? La risposta
di Emma arrivò immediata: «Qual
è il problema? La camera dei figli è
vuota. Se c’è bisogno si dà una mano.
No?». Un ragionamento semplice,
dettato da quella disponibilità che, in
molte altre occasioni, l’aveva fatta conoscere
nel quartiere. Per tanti anni,
in parrocchia, Emma s’era impegnata
come volontaria: prima come catechista,
poi come aderente alla San
Vincenzo, per aiutare chi non arrivava
alla fine del mese. La differenza
è solo che i poveri qualche decennio
fa, in quel quartiere-dormitorio della
terraferma veneziana, non parlavano
lingue straniere, ma i dialetti delle regioni
del Sud.
Così Bakary si trasferisce nell’abitazione
della Brusò. Ma cerca di farlo
in punta di piedi: «La mia intenzione
era quella di disturbare il meno possibile.
Anzi, pensai di rendermi utile, di
agevolare un po’ la vita a chi mi stava
generosamente aiutando», spiega Bakary.
Non sapeva però con chi avrebbe
avuto a che fare. «Come avrei potuto
permettere a un ospite di fare le pulizie
di casa? O di uscire per le spese?»,
spiega con disarmante convinzione
nonna Emma. «A me restava solo il
compito di ritrovare gli occhiali che
“nonna” ogni tanto smarriva per casa,
o di spegnere i fornelli sbadatamente
lasciati accesi», racconta sorridendo.
Glissa, però, sul fatto che un brutto
giorno, se non ci fosse stato lui a soccorrerla
dopo una brutta caduta, chissà
come sarebbe andata a finire.
«Le devo molto», conclude Bakary.
«Se oggi vedo il mio futuro in Italia
e non altrove è grazie alla generosità
di persone come lei, o come Paolo
e Marina, una coppia di sposi di Asseggiano
che mi hanno accolto come
un figlio», ammette il giovane. Nonna
Emma lo ascolta in silenzio, e prima
di salire in bicicletta per andare a fare
le spese ribatte laconica: «Se tu avessi
bisogno di tornare qui, la luce in corridoio
a sera tardi te la farei trovare
ancora accesa».