A oltre due anni e mezzo dall’approvazione, la “Strategia Nazionale d’Inclusione dei Rom, Sinti e Caminanti” pare una meta irraggiungibile, simile alla tela di Penelope: nei propositi mattutini si cuce, nelle azioni concrete si disfa. È questa la sintesi dell’ultimo Rapporto sulla sua attuazione dell’Associazione 21 luglio insieme al Centro Ambrosiano di Solidarietà. Don Virginio Colmegna, fondatore della Casa della Carità che da anni ospita nella propria sede famiglie rom avviandole a percorsi di autonomia, precisa: «La tela di Penelope però simboleggia anche la volontà di andare avanti, nonostante le fatiche, nel costruire il vivere insieme possibile indicato dalla Strategia».
Se si parla di rom, si è infatti sempre pronti a urlare, alzare i toni, chiedere sgomberi e confinare. Quando invece si tratta di agire concretamente, per ridurre le condizioni di povertà, le istituzioni sono sempre in ritardo. Il concetto è ben riassunto dalla mancata attuazione della Strategia Nazionale, approvata nel febbraio 2012. Rispondeva a una richiesta – quella di un approccio strutturale – che l’Unione Europea chiedeva invano all’Italia da anni e soprattutto segnava un positivo cambio di passo rispetto ai quattro anni precedenti. Dal 2008 al 2011, infatti, il Governo Berlusconi aveva proclamato lo “Stato di emergenza nomadi” in cinque regioni italiane, che si era tradotto in provvedimenti in deroga alle leggi ordinarie, in milioni di euro di soldi pubblici spesi per sgomberi che spostavano il problema senza risolverlo e per sostenere grossi campi monoetnici. Del resto, secondo le leggi italiane, lo Stato di emergenza, applicato per i rifiuti a Napoli o il terremoto in Abruzzo, si proclama per «una calamità, una catastrofe», o altri eventi «che per intensità ed estensione debbano essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari».
Qualcuno allora si oppose: Famiglia Cristiana criticò la scelta di prendere le impronte digitali ai minori e schedarli secondo l’etnia di appartenenza, la Comunità Ebraica ricordò che era il primo censimento etnico dalle Leggi Razziali del 1938, finché, nel novembre 2011, la Corte Costituzionale dichiarò che lo Stato d’Emergenza era illegittimo. Nel frattempo, nel febbraio 2012, il nuovo Governo approvò la Strategia Nazionale, redatta dal tavolo interministeriale promosso da Andrea Riccardi, all’epoca ministro dell’Integrazione. «Piena di buoni propositi e giuste visioni d’insieme», dicono i ricercatori dell’Associazione 21 luglio, «come i quattro assi strutturali: istruzione, alloggio, lavoro e salute. Per la prima volta in Italia, si superava l’approccio emergenziale e assistenzialista, si diceva chiaramente che i campi monoetnici e ghettizzanti sono sbagliati, si smetteva di usare l’ambiguo termine “nomadi” e si riconosceva l’eterogeneità dei gruppi che compongono questa popolazione». Infatti è bene ricordarlo: spesso abbiamo una visione stereotipata dei rom e sinti, che in realtà in Italia sono pochi (110-170mila, lo 0,25%), per la metà italiani, stanziali per il 97-98%, oltre il 50% minorenni, più dei due terzi vivono in casa.
Nell’ultimo anno, i ricercatori dell’Associazione 21 luglio hanno analizzato quali effetti concreti siano derivati dalla Strategia. Il giudizio è senza appello: «Aspettative disattese. Le condizioni di esclusione sociale persistono, così come l’orientamento ad attribuire loro uno stigma. I rom vivono un senso di totale estraneità nei confronti di uno strumento di cui non si sentono né proprietari, né responsabili». Le colpe sono sia dell’amministrazione nazionale, sia locale, un livello chiave nell’applicazione della Strategia. I ritardi sono generalizzati: a oltre due anni e mezzo, solo 8 regioni su 20 hanno attivato i tavoli regionali previsti; quelli nazionali su istruzione e salute si sono riuniti due volte in 26 mesi, quelli su alloggio e lavoro addirittura solo una. «Al contrario», dicono i ricercatori, «abbiamo censito una ventina di città dove sono stati realizzati, o dove si sta discutendo se finanziare, dei campi monoetnici, cioè esattamente quello che la Strategia sconsiglia. Emblematico il caso di Roma, dove l’amministrazione ha speso 10 milioni di euro per realizzare il Terminal Barbuta, in cui vivono 600 persone isolate, solo rom. Così l’Italia continuerà a essere il Paese dei campi». «Nel frattempo», sottolinea Alessandro Pistecchia dell’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazione razziali), «continuano le discriminazioni e le offese verso i rom e sinti, con una vera emergenza relativa ai social network».
Occorre invertire la rotta e recuperare i ritardi. Lo chiede la Commissione Europea e soprattutto i rom e sinti, che – va ripetuto – sono un “popolo di bambini”, sul cui futuro si sta rinunciando a investire. Il report dell’Associazione 21 luglio propone al Governo Renzi di rendere effettive alcune azioni già previste dal documento del 2012: «Rendere autonomo e indipendente l’Unar, che è il Punto di contatto nazionale per l’applicazione della Strategia, riconoscere i rom e sinti come minoranza nazionale, applicare politiche abitative che superino veramente i megacampi monoetnici».