Le storie di sangue sono drammatiche e tragiche.
Quando, poi, il teatro di un omicidio è un contesto
familiare, allora i contorni del fattaccio diventano
ancora più emblematici e, mediaticamente parlando,
accattivanti. A questo tragico e cinico filone si può
ascrivere a pieno titolo la vicenda di Sarah Scazzi, la
quindicenne di Avetrana scomparsa a fine agosto e del
cui assassinio sono stati accusati prima lo zio Michele
Misseri e poi la cugina Sabrina, figlia di quest’ultimo.
La vicenda è emblematica non soltanto della degenerativa
tendenza dei media a speculare sulle tragedie, ma
anche di un certo tipo di rappresentazione dei legami familiari.
Tra gli elementi che hanno portato la vicenda alla
ribalta mediatica per lunghe settimane, due meritano
una sottolineatura specifica. Il primo ha a che fare con
quel perverso “fascino del male” che catalizza l’attenzione
popolare. Il secondo è lo sfondo affettivo familiare
che è stato teatro dell’assassinio, caratterizzato da legami
parentali ambigui. È un filone che coinvolge i destinatari
per quel meccanismo di empatia che spesso scatta
di fronte
«Tutte le famiglie felici si assomigliano; ogni famiglia
infelice è invece disgraziata a modo suo» (Lev Tolstoj).
Le famiglie Scazzi e Misseri sono molto tristi: la prima
perché ha perso una figlia, la seconda perché al suo interno
qualcuno ha agito per uccidere una giovanissima
parente. I media si sono precipitati su questo caso con
tutta l’invadenza di cui sono capaci. Sono stati setacciati
gli equilibri interni ai due nuclei familiari e le relazioni
incrociate. Ne è emerso un groviglio sentimentale di sapore
arcaico, con la famiglia Misseri rappresentata come
una piccola proto-società di stampo fortemente matriarcale
e la famiglia Scazzi come una famiglia la cui
normalità è stata squassata dall’assassinio della figlia.
Una rapida ricognizione su come i mezzi di comunicazione
hanno dipinto i membri delle famiglie Scazzi e
Misseri può aiutare a mettere in evidenza le forzature tipiche
della rappresentazione
mediatica, che anche
stavolta hanno avuto una
parte fondamentale nel
mantenere a lungo accesi i
riflettori sulla vicenda.
1) Sarah, giovane vittima innocente. Sarah è stata descritta dai media a tinte cangianti: un’adolescente inquieta che sognava di andare a vivere altrove, una ragazza che poteva essere stata misteriosamente rapita, una quindicenne come tante sulla cui sparizione era calata un’ombra di mistero. Dopo il tragico epilogo, si sono sprecate le descrizioni di Sarah come una ragazza dolce e sensibile, che aveva molti sogni nel cassetto. Anche lei aveva le sue piccole trasgressioni nel linguaggio, nelle frequentazioni, nel desiderio di essere donna, nel conflitto generazionale con la madre, dalla quale cercava incessantemente attenzioni, tenerezze e affetto. Quello stesso affetto che sembrava trovare nella famiglia dello zio Michele, presso cui trascorreva molto tempo in compagnia della cugina Sabrina. Era forte anche il suo legame con il fratello, mentre la figura paterna era sentita più lontana anche in ragione dell’assenza del genitore, trasferitosi a Milano per motivi di lavoro. Proprio questa mancanza l’avrebbe portata a identificare un secondo padre nel mite zio Michele
2) Sabrina, figlia degenere
e cugina traditrice.
Il
movente dell’omicidio di
Sarah sarebbe la gelosia
della cugina Sabrina. In
quest’ultima, Sarah vedeva
una sorella maggiore
ed era forte il legame fra
loro, nonostante la differenza
di età di 7 anni. Ma
questo sodalizio affettivo
si sarebbe rotto a causa di
un amico comune: Sabrina
era infatti innamorata
al punto da “temere di perderlo”
a causa della cugina.
Quando Sarah, agli occhi
di Sabrina, ha smesso
di essere una bambina da
coccolare per diventare
una rivale, sarebbe scattato
il desiderio di rivalsa e
da esso l’omicidio.
Fino all’arresto del padre,
Sabrina è stata protagonista
lanciando appelli
e offrendosi senza riserve
a telecamere e microfoni.
Dopo la prima confessione
di Michele, ha preso
nettamente le distanze da
quell’uomo che “tanto aveva
amato” ma che avrebbe
dovuto “pagare fino in fondo”
la presunta colpa. È
emersa l’ambivalenza tra
amore filiale e rigore di
giustizia, insieme alla dinamica
alterna di attrazione
e repulsione verso il padre,
diventata poi ostilità
quando il padre le ha addossato
tutta la responsabilità
dell’assassinio.
3) Concetta, mamma
immersa nel doloroso silenzio.
Il dolore per la perdita
della figlia ha segnato
Concetta, madre di Sarah.
Dal momento della scomparsa, lei ha cercato in tutti
i modi di attirare l’attenzione
sul caso, chiedendo
aiuto nella ricerca della figlia.
Fino al giorno in cui
ha appreso in diretta televisiva
che Michele Misseri
aveva indicato agli inquirenti
il luogo in cui era stato
gettato il cadavere di Sarah.
Il volto impietrito di
Concetta è rimasto una triste
icona nell’immaginario
collettivo.
Subito dopo, ha provato
a uscire di scena. Il suo dolore
si è ricomposto in un
volontario allontanamento
dal circo e lei, che si è dichiarata
testimone di Geova,
ha scelto di onorare la
memoria della ragazza tacendo
e confidando nel Signore.
Ha ripreso la parola
solo per manifestare il
suo scetticismo e i suoi
dubbi dopo la diffusione
dei verbali degli interrogatori
di Michele e di Sabrina.
È rimasta a lungo chiusa
in casa, pietrificata nel
suo dolore. “Pentitevi” è
l’appello che ha lanciato
al cognato Michele e alla
nipote Sabrina. A sostenerla
non sono stati parenti e
amici, ma la sua fede in
Dio: “Geova è al mio fianco,
ho fiducia in lui quando
dice: fate posto all’ira,
la vendetta è mia. La risurrezione
sarà un tempo meraviglioso,
perché potrò
riabbracciare mia figlia”.
4) Cosima, matrona che
rinnega il marito.
Cosima,
moglie di Michele e madre
di Sabrina, ha inizialmente
accompagnato con
la sua presenza l’esposizione
mediatica della famiglia
Misseri, per poi cercare
di sottrarsi ai riflettori
con l’atteggiamento di chi
sa ma non vuol far sapere.
Dopo il coinvolgimento
del marito e della figlia, ha
deciso di salvare Sabrina
addossando a Michele
ogni responsabilità. Ha
gettato dubbi sulla stabilità
psicologica dell’uomo,
che sarebbe stato “destabilizzato
dai tranquillanti” e
non sarebbe stato abbastanza
lucido per delineare
la dinamica dell’assassinio.
Ha scaricato il marito,
ostentando un evidente cinismo
verso colui che fino
al momento dell’arresto
era stato comunque il suo
compagno di vita.
Insieme a Valentina, la
figlia maggiore, ha eretto
una barricata impenetrabile
per i media. È stata rappresentata
come una vera
e propria matrona, capace
di governare a suo piacimento
i ritmi e le priorità
domestiche mantenendo
saldo nelle proprie mani il
potere di condizionare i
comportamenti dei suoi
congiunti, espresso soprattutto
nei confronti del marito
Michele.
5) Michele, padre presente
ma lontano.
Un padre-
mostro o un genitore
talmente buono e altruista
da essere disposto a sacrificarsi
per le colpe di una figlia?
Il ritratto di Michele
Misseri ha ancora contorni
incerti. Appena si è autoaccusato
dell’omicidio,
è stato impietosamente
sbattuto sulle prime pagine
dei giornali, come un
essere capace di uccidere
a sangue freddo per assecondare
i suoi più bassi
istinti. La sua prima confessione
è stata scioccante:
avrebbe ucciso Sarah colto
da un raptus dopo aver tentato
un approccio sessuale.
Scabroso anche il dettaglio,
poi ritrattato, della
violenza sessuale postuma
che avrebbe esercitato sul
cadavere della ragazza prima
di gettarlo nel pozzo.
In seguito ha portato a
compimento la sua accusa
nei confronti della figlia
prediletta: è stata Sabrina
a uccidere la ragazza. La
sua posizione si è progressivamente
alleggerita man
mano che (anche grazie alle
sue testimonianze successive)
sono emerse le colpe
di Sabrina. Resta l’immagine
di un uomo rozzo
e ingenuo, disposto anche
a “sacrificarsi” nella sua
semplicità d’animo e nella
rozzezza che la moglie e le
figlie gli hanno sempre attribuito.
6) Giacomo, padre assente
ma vicino.
Il padre
di Sarah è apparso fin dalla
scomparsa della figlia
un uomo schivo. Con poche
parole ha dato il segno
del dramma vissuto:
“Sarah era il bello della vita.
Ogni volta che mi alzo
dal letto penso sempre
che non la vedrò mai più”.
Nel cuore paterno di Giacomo
questa perdita ha
aperto la porta a un dolore
senza fine, ai rimpianti,
alla voglia di giustizia, ai
tanti ricordi. Sarah “ stava
sempre a ridere e scherzare”
e lui non è riuscito a
trovare le parole per esprimere
il suo sgomento di
fronte alla morte di quella
figlia desiderata “a tutti i
costi”. Ha manifestato il
desiderio di tornare a incarnare
il suo ruolo, garantendo
alla moglie e al figlio
il migliore futuro possibile,
ipotizzando un trasferimento
lontano dal
paese di Avetrana.
Nella tragedia, il padre
prima lontano è capace di
rivelare uno spessore umano
non secondario:
“L’odio verso chi ha fatto
del male alla mia bambina
aumenterebbe il dolore.
Quando scopri che un parente
te l’ha ammazzata,
questo basta e avanza per
uccidere dentro anche
te”. È lui a mettere sul piatto
apertamente anche il
senso dei legami interfamiliari:
“Di chi ti devi fidare,
se non dei tuoi parenti?”.
La sua sentenza nei confronti
dei parenti serpenti
è netta: i Misseri “non esistono
più”. Ma, nonostante
tutto, è un uomo che
non vuole serbare rancori;
a patto che chi ha colpa
“paghi fino in fondo” e
sconti “una pena giusta
per quello che ha fatto”.
7) Valentina, sorella dietro
le quinte.
La sorella di
Sabrina è stata sullo sfondo
della presenza della sorella.
Dopo la svolta nelle
indagini, lei è stata quella
che più apertamente la difende.
Secondo lei, Sabrina
“è innocente”. È stata
decisa nello scaricare la
colpa su Michele. Nei confronti
del genitore non ha
mostrato un particolare attaccamento,
forse perché
ha una sua vita fuori dal
nucleo familiare d’origine.
Ha provato a ricucire il
legame con la zia scrivendole
una lettera in cui ha
riaffermato l’assoluta innocenza
di Sabrina ma non
del genitore: “Non ti chiederemo
mai di perdonare
papà, neanche noi l’abbiamo
fatto”.
Ha cercato di rappresentare
la propria come una
famiglia normale, strutturata
su legami solidi e trasparenti:
“Non è vero che
mio padre era la vittima in casa, non è vero che mangiava
i nostri avanzi, non è
vero che mangiava con le
mani. La nostra era una famiglia
normalissima. Papà
da noi figlie è sempre stato
coccolato, io e mia sorella
lo abbiamo sempre difeso”.
Ma è lei stessa a riassumere
con efficacia la connotazione
che i media hanno
cucito addosso alla sua
famiglia: “Stanno paragonando
mio padre al cenerentolo
della situazione, io
e mia sorella saremmo le
sorellastre, mia madre la
matrigna. Invece la nostra
è una famiglia come tante
altre, umile e modesta, in
cui si litiga tra moglie e marito
come capita in ogni famiglia”.
8) Claudio, fratello addolorato.
Come il padre
Giacomo, anche Claudio
sta inizialmente sullo sfondo.
Dopo il tragico epilogo,
ha preso subito le difese
della sorella rispetto ad
alcune voci e a un presunto
movente sessuale.
Dopo la prima confessione
di Michele, il suo giudizio
è tranciante. Lo zio
“non deve più esistere” e
“se si suicida fa l’unica cosa
giusta della sua vita e si
mette a pari con il disastro
che ha combinato”. Quando
emergono le colpe di
Sabrina, Claudio rivaluta
lo zio, che “ha sempre fatto
una vita ineccepibile” e
indirizza tutto il suo risentimento
contro la cugina.
Poi la sua attenzione si
sposta verso il ricordo di
Sarah. Dichiara di non interessarsi
più né di Michele
né di Sabrina ma di concentrare
la sua attenzione
e i suoi sforzi per portare a
compimento il progetto
del canile per cani abbandonati
tanto caro a Sarah e alla sua famiglia.
Le frammentarie sottolineature
della connotazione
mediatica dei protagonisti
di questa triste e desolante
vicenda consentono
di tratteggiare il ritratto
parallelo di due famiglie,
unite da legami improvvisamente
e irrimediabilmente
lacerati dall’assassinio
della ragazzina.
Restano molti dubbi, come
inevitabilmente capita
di fronte a qualunque rappresentazione
mediatica
del dolore e di vicende familiari
tanto complesse e
drammatiche. Innanzitutto,
quanto corrisponde
l’immagine veicolata da televisione
e giornali all’effettiva
essenza dei protagonisti?
E, in secondo luogo,
quanto l’invadente presenza
dei mezzi di comunicazione
a copertura del delitto
di Avetrana ha pesantemente
condizionato i loro
comportamenti, le loro parole
e affermazioni, e i loro
pensieri? La risposta a
queste domande non dipende
soltanto dai mezzi
di comunicazione, ma dal
modo in cui ci si dispone
di fronte a essi.