Famiglie, giovani, religiosi e religiose. C’è di tutto in piazza San Pietro e dintorni in attesa dell’udienza del Papa. Non sono venuti solo per vedere. Anzi “siamo qui per ascoltare”, dice Marta, 21 anni insieme con sua sorella Gabriella, 24. “Abbiamo cominciato a seguire le prime parole di papa Francesco e da allora ogni volta che possiamo veniamo qui”. Non sono le uniche. La piazza esplode di colori, cappellini gialli e bandiere. Ai fedeli il Papa ha spiegato che “il cristiano è una persona che pensa e agisce secondo Dio, secondo lo Spirito Santo”. E poi ha chiesto: “E noi, pensiamo secondo Dio? Agiamo secondo Dio? O ci lasciamo guidare da tante altre cose che non sono propriamente Dio?”.
All’inizio dell’udienza il papa aveva deposto un piccolo omaggio floreale ai piedi dell’immagine di Nostra Signora de Lujian, patrona dell’Argentina e la cui festa si celebra oggi. E in spagnolo aveva invitato i fedeli argentini, presenti in piazza, a farsi sentire: “Non sento bene l'applauso... Più forte!”. A conclusione, invece, prima che la banda iniziasse a suonare, Francesco ha ripreso la parola per dire ancora, come fa spesso: “Dio ci ama sempre, ci perdona sempre, ricordatevelo”.
E prima dell’udienza in piazza, in quella riservata di stamattina del Papa con le suore dell’Unione internazionale delle superiori generali (Uisg), Francesco ha fatto un elogio della “povertà come superamento di ogni egoismo nella logica del Vangelo che insegna a confidare nella Provvidenza di Dio. Povertà come indicazione a tutta la Chiesa che non siamo noi a costruire il Regno di Dio, non sono i mezzi umani che lo fanno crescere, ma è primariamente la potenza, la grazia del Signore, che opera attraverso la nostra debolezza. ‘Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza’, afferma l’Apostolo delle genti. Povertà che insegna la solidarietà, la condivisione e la carità, e che si esprime anche in una sobrietà e gioia dell’essenziale, per mettere in guardia dagli idoli materiali che offuscano il senso autentico della vita. Povertà che si impara con gli umili, i poveri, gli ammalati”.
“La consacrata è
madre, deve essere madre e non zitella”, ha detto anche il Papa spiegando il senso della castità come “carisma
prezioso, che allarga la libertà del dono a Dio e agli altri, con la
tenerezza, la misericordia, la vicinanza di Cristo”. “La castità per il
Regno dei cieli - ha spiegato il Papa - mostra come l’affettività ha il
suo posto nella libertà matura e diventa un segno del mondo futuro, per
far risplendere sempre il primato di Dio”. “Questa gioia della fecondità
spirituale - l’augurio di Papa Francesco alle suore - animi la vostra
esistenza, siate madri, come figura di Maria Madre e della Chiesa”.
Non ha trascurato di spiegare come un cristiano deve intendere (e vivere) il potere. “Il vero potere, a qualunque livello, è
il servizio, che ha il suo vertice luminoso sulla Croce”, ha ricordato Jorge Mario Bergoglio alle religiose dell’Uisg. Ha citato il suo predecessore, papa Francesco:
"Benedetto XVI ha richiamato più volte alla Chiesa che se per l’uomo
spesso autorità è sinonimo di possesso, di dominio, di successo, per Dio
autorità è sempre sinonimo di servizio, di umiltà di amore”. Di qui la
necessità di “entrare nella logica di Gesù che si china a lavare i piedi
degli apostoli”.
“Pensiamo al danno che arrecano al popolo di Dio - la
denuncia del Papa - gli uomini e le donne di Chiesa che sono
carrieristi, arrampicatori, che usano il popolo, la Chiesa, i fratelli e
le sorelle - quelli che dovrebbero servire - come trampolino per i
propri interessi e le ambizioni personali”. “Sappiate sempre esercitare
l’autorità - l’invito del Papa alle religiose - accompagnando,
comprendendo, aiutando, amando; abbracciando tutti e tutte, specialmente
le persone che si sentono sole, escluse, aride, le periferie
esistenziali del cuore umano. Teniamo lo sguardo rivolto alla Croce; il
sì colloca qualunque autorità nella Chiesa, dove Colui che è il Signore
si fa servo fino al dono totale di sé”.
Annachiara Valle
E' il volto femminile della Chiesa. Aggraziato. Ma anche determinato. Mercoledì 8 maggio, con l'udienza dal Santo Padre le circa 800 superiore generali di congregazioni e ordini di suore concludono la XIX assemblea plenaria dell’Uisg, l’Unione internazionale superiore generali, svoltasi a Roma. Da tempo i vertici delle religiose non incontravano il Pontefice: oggi, il vescovo di Roma è un gesuita, dunque anch'egli un uomo di vita consacrata, un fatto, questo, destinato ad accrescere il feeling fra Francesco e le leader religiose.
Al centro dell’assemblea di quest’anno un argomento di particolare rilievo: “Il servizio dell’autorità secondo il Vangelo”. Si tratta di un tema chiave per una vita consacrata che sta cercando strade nuove e originali per restare nel mondo globalizzato, testimoniare il Vangelo, affrontare i nodi della relazione con l’autorità all’interno stesso della Chiesa e poi nella realtà in cui si opera e vive.
Religiose provenienti da oltre 70 Paesi hanno discusso di questi e altri problemi dando vita a un dibattito intenso, appassionato, non di rado ironico, raccontando così lo spaccato di una Chiesa attiva su vari fronti (assistenza, sanità, educazione, giustizia, preghiera) che ha nella presenza femminile una risorsa di prim’ordine.
Nei saloni dell’Ergife si è sentita e vista la presenza di religiose dell’Asia dell’Africa e dell’America Latina; un intreccio di lingue e di esperienze che si è confrontato secondo una modalità di confronto aperto: ad ogni relazione ha fatto seguito infatti un dialogo diretto fra la relatrice e l’assemblea.
Fra le questioni che hanno suscitato grande attenzione, il tema proposto da suor Mary Pat Garvin, ovvero “La compagnia come Grazia. Una metafora per l’autorità religiosa oggi”.
“Gesù è stato – ha detto suor Garvin – ‘il compagno di Grazia’ ‘par exellance!’ E’ stato un leader che ha offerto la visione, l’energia, la sfida e il coraggio a quanti si sentivano attratti dal suo modo di servire e di essere con il popolo di Dio”.
“Allo stesso modo – ha aggiunto – la storia delle nostre congregazioni è ricca di donne sagge, di ‘compagne di grazia’, di leader che, seguendo l’esempio di Gesù, hanno accompagnato le suore del loro tempo con visione, energia, sfida e coraggio al servizio del popolo di Dio”.
In tale prospettiva, “la leadership “è un’impresa comune e condivisa”, e
riguarda in primo luogo “le relazioni”. Nel colloquio diretto con le
consorelle, suor Garvin ha toccato anche il tema della “rabbia”, dei
sentimenti negativi, che hanno però “diritto di esistere”.
Ma il punto è “imparare a riconoscere la rabbia e incanalarla in modo
che non sia pericolosa”. “Cosa sarebbe il mondo – si è chiesta la
religiosa - senza la rabbia contro l’ingiustizia sociale?”. “Ma chi
lavora in questo campo – ha detto ancora - deve imparare a incanalare
questi impulsi in modo che diventino elementi fruttuosi e positivi”.
All’assemblea ha preso parte anche il cardinale brasiliano Joao Braz de Aviz, presidente
della Congregazione per gli istituiti di vita consacrata e le società
di via apostolica.
Il cardinale, che ha celebrato la Messa e poi ha risposto alle tante
questioni poste dalle superiore, ha ricordato fra l’altro un concetto di
Giovanni Paolo II: “La dimensione gerarchica e quella carismatica della
Chiesa sono due dimensioni coessenziali”.
Il valore della condivisione, del procedere insieme, anche “uomini e
donne”, ha detto, è fondamentale e ‘la coessenzialità” è un modo per
sciogliere i conflitti e dare speranza alla Chiesa. Il cardinale ha chiesto alle superiore di “tornare alle origini di ciascun carisma”,
“al messaggio dei fondatori” delle congregazioni.
Il rischio è quello di privilegiare “opere” troppo impegnative, onerose,
che allontanano dal carisma, “in tal modo alla fine fra qualche anno
non si esisterà più”.
Il rischio è questo, ma “le opere” sono necessarie, e tuttavia devono essere in linea con il carisma originario, per smarrirsi.
Il cardinale Braz de Aviz ha esalto il ruolo dell’Uisg quale “cammino
di comunione nel quale va avanti lo spirito del Concilio Vaticano II”.
Quindi ha osservato che “ritornare al Concilio significa ritornare
al Vangelo”. “La Chiesa – ha affermato ancora – ci pare a volte una
società di classi, ben organizzata, ma sempre di classi”.
Invece, ha aggiunto, dobbiamo ricordarci che “il Papa, il cardinale, la
consacrata, non valgono di più di chi lavora, cresce i figli, e via
dicendo”. Per questo “fra di noi deve crescere il rapporto di
fratellanza, la spiritualità di condivisione”. Quindi ha spiegato:
“ordini e congregazioni molto ricchi devono diventare quelli che più
distribuiscono”.
In quanto al rapporto fra vescovi e vita consacrata, Braz de Aviz ha
avanzato due proposte concrete: la creazione di un vicario episcopale a
livello diocesano in modo che le congregazioni abbiano in un
interlocutore fisso e costante, quindi la creazione di un commissione
mista per risolvere eventuali problemi.
Il cardinale ha anche voluto toccare anche il delicato nodo dei
contrasti sorti fra le suore americane riunite nella Lwcr (Leadership
Conference of Women Religious) e il Vaticano in merito ad aspetti
dottrinali (di natura etica) contestati alle religiose dalla
Congregazione per la dottrina della fede (Cdf).
Il porporato ha riconosciuto che il problema ancora non è stato
risolto ma proprio per questo “c’è bisogno di un dialogo molto intenso
fra le due parti”. E a una domanda specifica sull’ipotesi di un incontro
fra le religiose e il Papa, Braz de Aviz ha risposto: “l’incontro è
possibile” ma sarebbe auspicabile che le suore della Lcwr provassero a
spiegare in “che modo accettano la valutazione dottrinale” della Cdf
confermata da Papa Francesco. Insomma Braz de Aviz ha indicato la strada
per un confronto positivo.
Dalla XIX assemblea plenaria dell’Uisg, l’Unione internazionale superiore generali svoltasi a Roma in questi giorni, è salita una richiesta univoca e trasversale a sensibilità e realtà religiose differenti: “Le donne devono ricoprire ruoli di maggiore responsabilità nella Chiesa”. Da questo punto di vista si attende qualche segnale concreto dalla Santa Sede e per la verità papa Francesco ha già toccato la questione femminile nelle settimane scorse sottolineando che il ruolo delle donne deve crescere e la loro funzione nell’annuncio del Vangelo è centrale.
La consapevolezza della richiesta di un pieno riconoscimento della leadership femminile, è dunque forte e diffusa fra le religiose. Suor Tiziana Merletti, superiora generale delle Francescane di poveri, ci spiega: “Intanto va detto che siamo qui in più di 800 e rappresentiamo migliaia e migliaia di religiose che danno la vita e hanno le mani in pasta in tutte le parti del mondo”. Perciò – aggiunge - il nostro contributo è innanzitutto la vita vissuta. Inoltre io direi che noi ci siamo, come donne, come religiose, come leaders; mi pare di poter dire che siamo pronte a raccogliere la sfida. Non voglio dire che abbiamo già le risposte, però siamo pronte a questo dialogo e direi anche che lo stiamo aspettando da un po’ di tempo”.
“Quindi – ha osservato ancora suor Tiziana - ci sono sicuramente anche tante frustrazioni, delusioni, disillusioni, però c’è anche tanta speranza e desiderio di fare la nostra parte”. L’impegno a favore dei poveri da parte del nuovo Papa trova fra congregazioni e gli ordini femminili, largo ascolto. Da parte nostra, spiega suor Merletti, arriva un “fortissimo messaggio di condivisione e direi anche di partecipazione dei beni. Una cosa anche molto interessante in quest’assemblea rispetto a tre anni fa, è poi che c’è un maggior numero di superiore generali provenienti da quegli stessi continenti dove noi siamo andate decine o centinaia di anni fa. Non so se c’è stato già il sorpasso, ma comunque siamo sedute allo stesso tavolo, e questo ci spinge ad un confronto e anche a rivedere le nostre posizioni come primo mondo e a continuare questa condivisione in modo sempre più paritario”.
Sotto questo profilo, suor Martha Zechmeister, in un intervento
ha affermato: “Ha ancora valore ciò che Dietrich Bonhoffer, il grande
martire della Chiesa luterana tedesca, ha detto nel suo contesto
storico: non è più sufficiente ‘assistere le vittime finite sotto la
ruota, ma ci viene richiesto di “bloccare i raggi per fermare la
ruota”.
In questa dimensione la misericordia e l’amore appassionato devono
tradursi in strategie ben pensate. Con l’astuzia del Vangelo, come
congregazioni religiose possiamo sfruttare il nostro vantaggio di essere
uno dei primi global player nella storia umana e utilizzare le
nostre reti internazionali nella nostra congregazione, in collaborazione
con altre congregazioni e tessendo relazioni con tutti coloro che
lottano per l’umanizzazione del pianeta”.
Ma la vita consacrata oltre a prospettive di impegno e testimonianza
del Vangelo, da tempo vive anche una stagione di crisi vocazionale, in
particolare fra i Paesi più sviluppati. In proposito di nuovo suor
Merletti spiega: “Quello che noi stiamo cercando di fare è di porci
alcune domande di fondo, cioè come interpretare la presenza della vita
consacrata nel mondo di oggi, una presenza che sicuramente deve essere
diversa. E’ un esame di coscienza, ma allo stesso tempo c’è un’altra
domanda di fondo: esisteremo ancora fra qualche decennio? Può anche
essere che lo Spirito Santo intenda lavorare in un’altra maniera e forse
noi spariremo, e va bene così”.
“Ma noi – prosegue la religiosa - dobbiamo continuare a fare la nostra parte perché abbiamo molti riscontro positivi rispetto a quello che portiamo,
come spessore di vita, anche nei servizi sociali, o con le prostitute
ecc.. Siamo ancora significative ma dobbiamo andare di più sulla strada,
sicuramente, e pare che la risposta comunque non sia così forte numeri
soprattutto nel primo mondo. Quindi restiamo aperte al futuro senza
paura”.
Francesco Peloso
«La vita consacrata è una scelta di libertà e di dono totale. Ti viene consegnata una vita spezzata perché tu possa ricomporla di nuovo. Siamo come il vasaio che mette insieme i pezzi del vaso frantumato. A tutti i giovani cerco di trasmettere il sapore e la bellezza di questa scelta». Suor Rita Giaretta, 56 anni, vicentina di nascita ma campana d’adozione, appartiene all’ordine delle Orsoline del Sacro Cuore di Maria. A Caserta, dove vive da 18 anni, è la "buona samaritana" di tante donne sfruttate e violate da criminali e aguzzini senza scrupoli.
«Ogni giorno che passa», dice, «gusto tutta la bellezza e il fascino della mia vocazione. In una terra segnata da tante povertà, limiti e sfruttamento ma anche ricca di grandi potenzialità, a cominciare dalla profonda cordialità umana della gente, è bello sentire che mettersi al servizio dei fratelli ne vale davvero la pena».
Eppure, nell'immaginario comune, oggi più che mai la vita consacrata è vista come una scelta non di libertà ma quasi di rinuncia e di costrizione. «Sento che il rischio è proprio questo, purtroppo. Porre la vita consacrata sempre nell’ottica di un limite, di qualcosa che ci viene tolto. Non a caso si parla sempre in negativo: "non puoi sposarti", "non puoi avere figli", "non puoi fare questo o quello". Ma se cominciassimo a presentarci con il sorriso, forse faremmo sentire a tutti che essere suora non implica questo ma al contrario fa fiorire la tua vita, il tuo impegno, la tua femminilità. Noi per prima come consacrate dobbiamo utilizzare un linguaggio che faccia emergere il positivo. Il mio femminile fiorisce, si sente sereno, realizzato, pieno. Altrimenti trasmettiamo l’idea di un soffocamento. C’è una libertà interiore e profonda che viene da quel Cristo che a tutti dice "Vi ho chiamati a libertà"».
Fare del bene agli altri, dunque, come dono supremo di Dio. «Sì», risponde suor Rita, «è bellissimo arrivare a sera e dire grazie al Signore perché si è donata la propria vita diventando madre, sorella e amica di tante donne».
Una letizia, per usare un termine tanto caro alla spiritualità francescana, che ad uno sguardo superficiale sembra contrastare con la durezza delle situazioni con cui ogni giorno suor Rita viene a contatto. «La violenza che subiscono in quanto donne, vederle violate nella loro dignità e sfruttate mi procura un grandissimo dolore», afferma, «al contempo, però, avverto la grande chiamata del Dio che si fa salvezza per aiutare proprio queste persone. Vedere quei volti abbruttiti e deturpati dal dolore e dalla violenza tanto da non apparire nemmeno volti umani mi fa pensare a Gesù che andava incontro alla Croce così sfigurato da non sembrare nemmeno più un uomo. Il "miracolo" tuttavia si ripete sempre: questi volti rifioriscono, si aprono alla vita e al sorriso. Non c’è gioia più grande che vedere questo e quanto è bello il Vangelo della vita e della speranza».
Suor Rita accoglie anche donne incinte ma che si rifiutano di portare avanti la gravidanza. Grazie al suo aiuto molte si aprono alla vita. «Il sorriso di quei bambini mi dà gioia», dice, «allora sento tutto il gusto di essere donna e consacrata. È il Dio della vita che ogni giorno mi chiama a donare vita».
Ha scritto anche un libro, suor Rita. S’intitola Osare la speranza. Cosa significa per lei oggi osare la speranza? «Sentire dentro di noi che questo è un tempo favorevole, al di là delle fatiche e della complessità, per seminare speranza standoci dentro il tempo in cui viviamo».
Per spiegarlo meglio ricorre ad una metafora molto realistica: «Ogni comunità religiosa, ogni famiglia», spiega, «dovrebbe essere un po’ come una sala parto che in ogni tempo, anche in quelli più duri e drammatici, è capace di generare qualcosa di nuovo e dare vita. Osare la speranza significa io ci sto dentro fino in fondo in questo tempo, in questa storia, in questo territorio, nella Chiesa ma ci sto a testa alta, con fiducia e con speranza perché il Dio della vita è con noi e vuole che generiamo sempre qualcosa di nuovo».
Antonio Sanfrancesco