Cari Amici Lettori, mentre si discuteva dello “sforzo” dei Paesi europei, tra cui l’Italia, per trovare un accordo con la Tunisia riguardo al controllo dei flussi migratori dall’Africa subsahariana, il 14 giugno scorso è affondato al largo delle coste greche un peschereccio carico di oltre 700 migranti, con centinaia tra morti e dispersi.
L’ennesima atroce tragedia devastante nel Mediterraneo, tra un’indifferenza generale che lascia davvero sconvolti.
Chi darà un nome a queste centinaia di persone affogate miseramente? Vite spazzate via, senza un volto o un ricordo, privati persino della dignità del morire: la negazione stessa dell’essere persona.
Quello dei migranti è un immenso dramma umano che dovrebbe invece interpellarci in prima persona, eppure le nostre coscienze sembrano assuefatte e assopite.
Mi chiedo come si possano ignorare gli uomini e le donne, con le loro storie concrete, che stanno dietro questa ennesima tragedia annunciata. Possiamo formarci uno sguardo cristiano su questa tragedia, un po’ più libero da giudizi e pregiudizi, a partire da un punto di vista più umano? In proposito mi ha colpito un’intervista a Vatican News dell’arcivescovo di Tunisi, Ilario Antoniazzi.
Parole che rivelano l’attenzione religiosa del pastore, ma anche un occhio attento, concreto, che ragiona a partire dalla realtà delle persone che incontra. Innanzitutto lo sguardo di questa piccola Chiesa va alle difficoltà dei migranti che arrivano in Tunisia: l’aiuto economico a chi è “intrappolato” nel Paese, perché gli irregolari devono pagare ogni settimana una multa per poter restare in Tunisia.
E qui è in prima linea l’aiuto della Caritas.
«Noi cerchiamo di aiutarli a imparare un lavoro semplice, ad esempio per le ragazze a fare dei dolci oppure la parrucchiera», ha dichiarato Antoniazzi,
«in modo che se rientrano nel loro Paese non debbano ancora pensare di ripartire perché non hanno un lavoro ».
Il vescovo sa che questi profughi pensano di trovare l’Eldorado in Europa e non hanno idea delle difficoltà che incontreranno. Per questo l’impegno della Caritas tunisina è di cercare di aiutarli a far ritorno alle loro terre: si coordina perciò con le Caritas dei Paesi d’origine per non lasciarli a se stessi, in modo tale che una volta rientrati continui l’aiuto e si valorizzi quanto hanno imparato, dissuadendoli così dal desiderio di partire di nuovo.
Ma Antoniazzi ha sotto gli occhi anche un’altra realtà: molti profughi che giungono in Tunisia non accettano questo tipo di percorso perché spesso per lasciare le loro terre hanno venduto tutto, case e campi, non di rado con sacrifici anche da parte dei genitori.
Piuttosto che rientrare senza nulla e ripresentarsi ai familiari che li hanno lasciati partire, preferiscono affrontare il rischio della morte in mare. Un doloroso dramma umano, dietro cui sta il desiderio di riscatto, il sogno di una vita migliore, che a nessuno sembra interessare.
Lo raccoglie una Chiesa piccolissima e povera di mezzi, con uno sguardo compassionevole, aiutando come può. Un esempio di umanità e di “cuore” che dovrebbe sollecitare le istituzioni e la politica a uno sguardo “altro”. Che dovrebbe mirare a far di tutto per prevenire simili tragedie, come ha ammonito papa Francesco nell’Angelus di domenica.