Giovanni Paolo Ramonda. Foto della Comunità Papa Giovanni XXIII.
«Ci sono poveri oggi che
non riescono nemmeno
ad alzare il braccio per
chiedere l’elemosina, che
non cercano alcun aiuto,
poveri estremi che non si
rendono conto di esserlo,
che non hanno il coraggio
di chiedere. Noi dobbiamo cercare
quelli».
Giovanni Paolo Ramonda ha
preso il testimone dalle mani del prete
di strada più famoso d’Italia, don Benzi,
quello che girava di notte con una tonaca
nera tutta stazzonata con sopra un
colletto bianco e strappava prostitute
alla strada, cercando di far loro capire la
bestialità dello sfruttamento a cui erano
state condotte.
Quando don Oreste Benzi è morto
nel 2007 la Comunità Papa Giovanni
XXIII ha nominato Ramonda “ad interim”
suo presidente. E adesso gli ha affidato
anche il secondo mandato con l’88
per cento dei voti. Piemontese di Fossano,
54 anni, ha in casa tre figli suoi e altri
nove accolti.
Ha imparato da don Benzi ad andare a cercare i poveri. Oggi la Comunità
Papa Giovanni XXIII è presente
in 33 Paesi: conta, in tutto il mondo,
447 strutture, di cui 347 in Italia tra case
di accoglienza, case famiglia, cooperative
di lavoro, comunità terapeutiche.
Quelle di pronta accoglienza, dove non
si fa tante storie per aprire le porte, si
chiamano Capanne di Betlemme, perché
loro fanno come i pastori con Maria
e Giuseppe, un giaciglio subito pronto e
poche domande.
Giovanni Paolo Ramonda con una parte della sua numerosa famiglia. Al centro la moglie Tiziana, a sinistra una dei tre figli naturali, con due nipotini. A destra : Rossana, una delle 9 persone accolte nella casa famiglia. Foto della Comunità Papa Giovanni XXIII:
- Presidente, l’Italia come è messa?
«Troppi poveri e pochi soldi. C’è la
sanità e la scuola. Per ora va. Ma bisogna
vigilare per evitare che venga smantellato
lo Stato sociale».
Lei di cosa è preoccupato?
«Della corruzione. Sta dilapidando
soldi pubblici a beneficio di pochi. E
poi dei privilegi, troppi. Le dico solo
che abbiamo da poco aperto un albergo
solidale a Rimini. È sempre pieno.
Ospita interi nuclei familiari, disoccupati,
sfrattati».
- Ha ragione il Papa quando dice che
la solidarietà è diventata una parolaccia
anche da noi?
«Certo. C’è troppo conflitto tra le generazioni.
I giovani sono nulla. Io do
credito a Matteo Renzi. Ma lo aspetto
sulle cose concrete: lavoro ai giovani,
aiuti alle cooperative sociali, al Terzo
settore, all’artigianato, politiche fiscali,
lotta alla corruzione. Per ora la creatività
l’abbiamo vista nelle parole. Invece
occorrono interventi strutturali».
- Al primo posto che cosa bisogna
mettere, secondo lei?
«La natalità e il sostegno alle famiglie.
Una mamma deve avere uno stipendio,
perché è un gran lavoro. Senza
figli il Paese non va da nessuna parte.
Quello che manca ai politici è l’intelligenza
sociale, cioè il sapere da dove
partire».
- Già, da dove?
«Nel 1981 la Chiesa italiana aveva
chiesto di ripartire dagli ultimi. Sono
passati quasi 35 anni e siamo ancora
qui. Gli ultimi sono aumentati e noi
non siamo stati capaci di metterci al loro
passo. Anche la Chiesa può fare di
più. Adesso c’è un Papa che ce lo dice.
Mi chiedo se lo ascoltiamo davvero».
- Qual è stato l’errore?
«Non siamo andati a cercare gli ultimi.
Abbiamo regalato qualche spicciolo
a chi tendeva la mano. Non siamo andati
oltre la beneficenza. Oggi occorrono
politiche strutturali contro la povertà e
cioè nuove politiche fiscali e lavoro. E
poi bisogna essere chiari nel denunciare
e affrontare le ingiustizie provocate
dall’economia e dalla finanza. Una nuova
moralità».
- Anche la Chiesa deve fare autocritica?
«Sì, e il Papa la sta favorendo. Ha ragione
a dire che i pastori devono avere
l’odore delle pecore. Ma non basta. Noi
dobbiamo stare più vicini ai nostri vescovi,
aiutarli a stare dentro la realtà
delle famiglie che faticano ad arrivare
alla fine del mese, a camminare al passo
dei poveri».
- Come procede il processo di beatificazione
di don Oreste?
«Stiamo concludendo la raccolta dei
documenti e poi si aprirà la fase delle testimonianze.
Il 20 dicembre incontreremo
il Papa in un’udienza speciale a Roma
a dieci anni dall’incontro con Giovanni
Paolo II. Stiamo rafforzando la
presenza della Comunità all’estero, in
Africa e soprattutto in Asia: la nuova
frontiera è in questo ultimo continente,
perché lì l’evangelizzazione passa attraverso
l’impegno con i poveri. La condivisione
con gli ultimi è un linguaggio
che tutti comprendono, anche i non credenti.
È l’unico linguaggio eloquente
della fede alla prova del dialogo con le
grandi religioni dell’Asia».