Ancora
una volta mi trovo davanti a questo foglio bianco. Non so più quante volte ho
provato a scrivere qualcosa, ma qualsiasi parola mi sembra inadatta,
approssimativa, sbagliata. Allora cancello e ricomincio. Una volta e un'altra
ancora. La verità è forse che ci sono troppe cose da dire e io non so da dove
cominciare. Perché vorrei sapere, vorrei capire prima di scrivere qualcosa. E
al momento ci sono troppe cose che non so, tante altre che non potrò mai
sapere. È proprio vero quello che diceva un antico proverbio: un uomo è
prigioniero delle proprie parole e padrone dei propri silenzi. È proprio così
che sento le parole che cerco di scrivere: come catene che bloccano quello che
sento e penso.
Questi
nove infiniti mesi. Infiniti per me che li ho trascorsi in una sorta di
dimensione parallela dove il mondo che conoscevo è sfumato e le certezze che
avevo non servivano più. Infiniti anche per chi non sapeva di quel mio mondo
parallelo: tutti voi che mi avete pensata, appoggiata nella distanza e che mai
avete lasciato soli i miei cari.
Questi
infiniti mesi. Ineffabile è la parola che più si avvicina a quello che sono
stati e sono. Con che parole descrivervi il mio mondo dall'altra parte del
deserto? E viceversa, che parole potrebbero farmi capire cosa nel frattempo è
successo qui? Nessuna, forse.
L'assenza era di certo il grande protagonista di
questa vicenda, qui e nel deserto: laggiù con noi, non c'eravate e noi, non
eravamo qui con voi. Tutte quelle parole, quei pensieri, quegli sforzi, quelle
preghiere, le marce, le corse, le lettere, le poesie, gli striscioni, i
messaggi da questa parte del mare; così come tutte le nostre parole, i nostri
sogni, le speranze, i ricordi, le immagini ed i discorsi, laggiù nel deserto,
avevano il sapore acre dell'impotenza, della nostalgia, dell'ingiustizia, della
speranza.
Sono
parole che non si possono rivitalizzare adesso che, finalmente, ci siamo
riuniti, adesso che quell'assenza è stata colmata: per noi che vi abbiamo
riabbracciati e per voi che ci avete ritrovati. Quel che so, è che nelle mie
notti sotto le stelle, quando guardavo il cielo pensando a casa, non immaginavo
che tante persone ci aspettassero e pensassero a noi.
Al
nostro ritorno, quando ho visto e sentito quell'immenso abbraccio, ho toccato
con mano che si può e si deve aver fiducia nell'uomo, nonostante tutto. Perché
sono ancora tantissime le persone che si indignano per le ingiustizie, che siano
piccole o grandi, che siano a casa nostra o altrove. Anche se la giustizia si è
spesso dimostrata una parola vuota, sono persone che non lasciano perdere, che
non si voltano dall'altra parte.
A tutta questa umanità integra che
quotidianamente affronta a testa alta la vita, per sé, per i propri figli e per
gli altri, qui a fianco a tutti voi e laggiù lontano dai vostri occhi, voglio
dire grazie. Voglio dire grazie alla mia Sardegna, isola che non mi ha
dimenticato e che non ho mai dimenticato. Grazie a tutti i fratelli sardi,
italiani, saharawi, algerini, spagnoli, latinoamericani, tutti: grazie per i
vostri pensieri per me, per le energie positive, per la vicinanza, per le
vostre lacrime e i vostri sorrisi, per le vostre azioni e reazioni... Grazie.
Un
grazie diverso ad Ainhoa ed Enric, insostituibili compagni di vita nei nostri
deserti.
Grazie
anche a chi ha pregato per me: nelle chiese, nelle moschee, in solitudine e in
compagnia, in silenzio o con i canti, con preghiere e con pensieri, nel proprio
letto e nella propria tenda, in casa o sotto le stelle. Grazie anche a chi ha
provato a pregare, grazie a chi ha imparato.
Vorrei
ringraziarvi tutti, uno per uno: persone, associazioni, istituzioni, comuni,
squadre, gruppi, famiglie, classi, enti, corpi, assemblee, paesi, cooperative,
tutti.
Grazie a tutte le persone che mi hanno pensato in questi mesi, quelle
che la vita mi ha fatto incrociare, quelle che non ho avuto la fortuna di
conoscere, quelle che da sempre camminano con me.
Adesso
che sono ritornata, non posso non pensare a chi non tornerà più e a chi ancora
non è ritornato a casa come Giovanni, Serge, Daniel, Abdelkader, Tahar, Blanca,
Montserrat... e tanti altri sequestrati, in Mali e in tutto il mondo. Anche ad
aspettare loro siamo in tanti, preoccupati ma fiduciosi. Vorrei che anche le
loro famiglie si sentissero accompagnate come lo si è sentita la mia.
Adesso
che sono ritornata, non posso non ripensare ai popoli ma anche alle singole
persone che per troppo tempo hanno sofferto sole e in silenzio, in attesa di
giustizia, qui e ovunque. Persone, popoli come i rifugiati saharawi con cui
lavoravo che da 37 anni aspettano pacificamente giustizia nascendo, crescendo,
morendo in mezzo a una terra ingrata e non loro. Persone, popoli, come noi. A
tutti loro va il mio pensiero.
Samugheo, novembre
2012
Rossella Urru