L’abuso psicologico, di cui la violenza verbale fa parte, è la forma più diffusa di maltrattamento infantile in Europa: a subirlo è il 36,1 per cento dei 55 milioni di bambine e bambini coinvolti in abusi. Un tema - al centro anche dell’Indice Le parole sono importanti, pubblicato dal Cesvi - di cui probabilmente non si parla abbastanza. Con Elisa Veronesi, psicologa e psicoterapeuta, cerchiamo di capirne di più.
Quando si parla di abusi si pensa subito alla violenza fisica e sessuale. La violenza verbale è sottovalutata?
«Decisamente. "Ne uccide più la lingua che la spada", si legge nel libro del Siracide. Le parole non sono mai solo una trasmissione di informazioni neutre, possono essere anche un’arma di aggressione».
Come feriscono le parole?
«Attraverso le parole attribuiamo giudizi denigranti, di odio, di svalutazione. Oltre all’informazione contenuta nella parola, il linguaggio è sempre unito al suo aspetto paraverbale, cioè al modo in cui ci esprimiamo: volume della voce, pause, ritmo, energia e cadenza. Teniamo presente che durante una comunicazione verbale il nostro cervello percepisce solo per il 7% il contenuto della parola! Per il 55% fanno le espressioni facciali e per il 38% il tono della voce. Questo è il motivo per cui nelle relazioni occorre porre informazioni e concetti difficili in modi gentili, teneri e affettuosi, soprattutto con chi è più piccolo e che, a causa del non ancora completo sviluppo delle proprie capacità cognitive, è meno in grado di comprendere i significati ma assorbe in modo completo il clima emotivo. Usare le parole in maniera sbagliata significa maltrattare».
Come si manifesta la violenza verbale?
«Sminuire, imprecare, insultare, criticare in modo aggressivo o svalutante e minacciare sono atti violenti, nelle relazioni fisiche come sui social. Estremamente violenta è anche l’assenza di parola, quella che viene definita “la tattica del silenzio”, cioè la tendenza a interrompere la comunicazione con una persona, ignorando in modo spietato i suoi tentativi di dialogo e di ritorno alla relazione».
Come reagiscono i piccoli davanti alla violenza verbale?
«Si sentono completamente in balia dell’altro. Chi è aggredito ha l’unica via della paralisi; resta fermo, in silenzio, vivendo nel suo corpo la più difficile delle emozioni umane: l’impotenza, e con essa ansia, colpa e vergogna. Un bambino, con poche risorse e indifeso di fronte a un adulto, non può che vivere questa situazione. Queste emozioni vengono rinforzate e consolidate nel corso dei maltrattamenti, in cui il piccolo sperimenta di essere senza via d’uscita».
Quali sono le conseguenze della violenza verbale?
«La ricerca dimostra come bambini piccoli sottoposti a violenza verbale, da subito possono manifestare sintomi della loro sofferenza, mostrando un ritardo nello sviluppo del linguaggio».
E sul lungo termine?
«Chi è stato sottoposto a violenza tenderà a esercitare una forma di violenza verso se stesso, perché essendo portato a considerarsi incapace, inutile, indegno e colpevole, più facilmente tratterà se stesso con grande autocritica e svalutazione. Le ricerche mostrano che la violenza verbale reiterata costituisce un significativo fattore di rischio per molte condizioni psicopatologiche, tra cui depressione, disturbi del sonno e del comportamento alimentari e disturbo da stress post traumatico. Una volta adulti, questi bambini sentiranno la propria voce interiore, cioè i propri pensieri, esprimersi verso se stessi in un modo severo, cinico, aggressivo e umiliante».
Chi subisce violenza verbale, da adulto sarà portato a replicare gli stessi comportamenti?
«I bambini maltrattati verbalmente non sono condannati a ripetere in modo deterministico lo stesso modello relazionale e comunicativo. Ma, allo stesso tempo, saranno portati a replicare coi loro piccoli quello che possono considerare un modello educativo adeguato, soprattutto quando è stato imparato nel proprio ambito familiare e mai messo in discussione. Spesso, però, la consapevolezza della sofferenza subita, aiuta l’adulto a cercare di spezzare il cerchio».
I bambini possono difendersi dalla violenza verbale?
«Più si è piccoli, più è significativa la dipendenza dall’aggressore e più è facile ritenere insulti, denigrazione e umiliazioni qualcosa di normale e forse addirittura meritato. Riconoscere che la responsabilità è completamente a carico di chi attua la violenza, è il primo passo per potersi difendere. Si tratta di un passaggio fondamentale perché la convinzione di meritare tale comportamento provoca vergogna. Aprirsi alla confidenza con altri aiuta ad attribuire le giuste responsabilità e ad aumentare l’autostima per trovare la forza di affermare all’aggressore: “Non mi parlare in questo modo” e divenire così protagonisti della propria difesa. La parola, tanto potente nel ferirci, altrettanto lo è nel costituire un’azione difensiva quando è assertiva e convinta. Certo non si tratta di un passaggio facile, in particolare per i bambini».
Da adulti, come si deve intervenire davanti a casi di violenza verbale?
«Occorre un chiaro stop, non basta – per quanto sia meglio che lasciar solo - consolare. Chi tace di fronte alla violenza verbale diviene implicitamente connivente dell’aggressore. Ciò è particolarmente valido quando più adulti assistono alla violenza su un piccolo: il silenzio aumenterà nel bambino la percezione di meritare quel comportamento, validato dal gruppo dei grandi attraverso il silenzio. Ricordiamoci che la parola amorevole per l’altro è in grado di rompere il cerchio della violenza e del maltrattamento e generare comportamenti ed emozioni di positiva apertura alla vita e alle relazioni».
Elisa Veronesi è psicologa e psicoterapeuta di formazione sistemico relazionale. Supervisore Emdr, è dirigente psicologa nell'Azienda Socio-Sanitaria Territoriale (Asst) Brianza. Per le Edizioni San Paolo ha scritto con Paolo Maria Manzalini Vivere la paura. Un viaggio nell’emozione più antica e potente (2022).