Fra l'intervento dell'uomo sull'ambiente e la diffusione di malattie infettive esiste una correlazione diretta. Sono ormai tantissimi gli studi che confermano questo legame e che dovrebbero indurci a un cambio di mentalità. L'ultimo, riportato oggi nel sito del forum "Salviamo il paesaggio", richiama uno studio firmato da Oms, UNEP e Segretariato alla Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD) risalenete al 2015.
Le aree urbanizzate sono le più vulnerabili alla diffusione dei virus per tre ragioni: 1) più individui della stessa specie vivono a stretto contatto; 2) le condizioni igienico-sanitarie "peggiorano"; 3) si crea una condiozione di povertà in biodiversità delle aree urbanizzate.
Su quest'ultimo punto, il rapporto OMS-UNEP-CBD del 2015 parla, infatti, dell’effetto diluente che ha la ricchezza di biodiversità in un dato territorio nel trattenere i virus. In sostanza gli agenti patogeni sono meno aggressivi se vengono assorbiti e distribuiti su una più ricca e varia presenza di specie diverse.
Quindi - osserva "Salviamo il paesaggio" nell'articolo a firma di Luigi Di Marco che esamina il rapporto - dobbiamo diventare consapevoli che le pandemie non sono na fatalità, ma spesso sono causate dall'uomo. Sono un fatto ecologico, potremmo dire. Si stima che le principali zoonosi sono responsabili di 2 miliardi e mezzo di casi di malattia e di 2.7 milioni di morti ogni anno (FAO 2018). Il danno, in termini di vite umane anzitutto, ma anche di ripercussioni sull'economia sono pesantissimi, come stiamo vedendo oggi.
È urgente pensare e dare corso a un niovo modello di sviluppo. In che direzione? «Per il rilancio dell’economia, i Governi avranno ora una capacità nell’esercitare un ruolo d’indirizzo più attivo e forte che mai», ricorda "Salviamo il paesaggio". «Gli stimoli finanziari per una ricostruzione non devono ripetere gli errori del passato, ma supportare la transizione ecologica, il ripristino degli ecosistemi e l’uso sostenibile del suolo, la decarbonizzazione industriale e il recupero edilizio, modelli sostenibili di produzione e consumo che restituiscano alla natura più di quanto prelevano, perseguendo l’obiettivo della piena occupazione. Messa in sicurezza del territorio contro il dissesto-idrogeologico considerando le dinamiche indotte dai cambiamenti climatici, servizi pubblici quali sanità e scuola, sostegno alla ricerca e alle attività culturali devono essere considerate investimento e non più una spesa».