Avere un figlio ad ogni costo è
considerato ormai un diritto inviolabile da ricercare con ogni mezzo messo a
disposizione dalla tecnica. Spesso, anche nelle aule dei tribunali italiani ci
si adegua a questo principio in nome, appunto, di un presunto “diritto alla
genitorialità” da far valere sempre e comunque. Anche in barba alla legge che
in Italia vieta il ricorso alla fecondazione eterologa.
«A prescindere da ogni
valutazione etica, (…) le possibilità offerte dalla scienza sono talmente vaste
da potersi immaginare esiti tali da far obliterare qualunque considerazione per
i diritti del nascituro, il quale potrebbe divenire strumento per la
soddisfazione del desiderio di genitorialità della madre malata terminale, del
padre psicotico, della coppia i cui figli sono stati dichiarati in stato di
adottabilità e che intendano procrearne altri eludendo il controllo del
tribunale dei minori, di genitori assai in là negli anni, dei cugini primi». A scriverlo,
in una sentenza piena di dubbi, è il giudice per l’udienza preliminare di
Milano Gennaro Mastrangelo che ha assolto una coppia milanese dall’accusa di
alterazione di stato civile per avere fatto ricorso in India alla maternità
surrogata totale ed essersi dichiarati all’anagrafe di Milano papà e mamma del
piccolo, che in realtà è stato concepito col seme dell’uomo, l’ovulo di una
donatrice esterna alla coppia e, infine, messo al mondo da una terza donna.
I
due coniugi sono stati condannati a un anno e 4 mesi di carcere “solo” per
falsa dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla propria identità. Hanno spiegato
di aver fatto ricorso alla fecondazione eterologa all’estero
– precisamente all’Hospital Hill di Mumbai con il quale hanno stipulato un
contratto – visto che la donna aveva perso la capacità riproduttiva in seguito
alle cure per un tumore. Entrambi si sono detti consapevoli che la pratica è
vietata dalla legge italiana, la legge 40 sulla procreazione assistita attesa
oggi al verdetto della Corte Costituzionale, che vieta la «surrogazione di
maternità» prevedendo all’articolo 12, comma 6, la pena da tre mesi a due anni
e una multa da 600 mila a un milione di euro.
Nelle motivazioni, il gup Mastrangelo scrive
che «il progetto genitoriale in questo caso non appare giustificato» e che le
molte possibilità offerte dalla tecnica potrebbero «divenire
strumento per la soddisfazione del desiderio di genitorialità della madre
malata terminale, del padre psicotico…» e via dicendo. Condotte che mettono il
diritto «con le spalle al muro» e in qualche modo costringono i giudici a
valorizzare il «benessere» del minore «terzo inconsapevole di un contratto a
cui è rimasto estraneo« al fine di non privarlo dei suoi genitori «tecnologici».
Il bimbo, adesso, è ora figlio riconosciuto
della coppia. Il Tribunale per i minori ha, infatti, «bloccato» la procedura di
adottabilità che era stata aperta nel caso in questione.
Mastrangelo inoltre ha respinto la richiesta
del difensore di concedere agli imputati il riconoscimento delle attenuanti
dell'aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale, affermando
che «la condotta tenuta» è stata «finalizzata a realizzare un proprio
desiderio, senza considerazione alcuna della socialità dell'azione intrapresa»
pur «a prescindere da ogni valutazione etica, ovviamente preclusa in questa
sede».