(Foto in testata dal profilo Facebook di Elliott Dougherty. Lui e Matthew Eledge, una coppia gay, sono i genitori della piccola Uma Louise, concepita tramite fecondazione in vitro. La sorella di Elliot, Lea Yribe, ha donato gli ovuli, la madre di Matthew, una donna di 61 anni, ha portato avanti la gravidanza. Il loro caso sta facendo discutere il mondo).
Le iniziative sempre più frequenti che scindono la genitorialità biologica da quella gestazionale e da quella affettiva non tengono conto di alcuni dati scientifici su come avviene lo sviluppo di un bambino e di cosa è importante per il suo benessere. La separazione di un bimbo, dopo il parto, dalla madre che lo ha generato implica, infatti, non considerare che la costruzione di un legame affettivo, quello che viene detto legame di attaccamento, inizia già all’interno dell’utero. Il feto sente la voce della madre, ne percepisce i cambiamenti di umore, addirittura ne sente il contatto tutte le volte che la madre tocca o accarezza la pancia. In altri termini, già durante la gravidanza un bimbo “riconosce” la madre e le si attacca. La madre, inoltre, influenza la formazione dei circuiti cerebrali del suo bambino e attraverso i suoi diversi stati mentali ed emotivi, già in questa fase, ha un impatto su come si svilupperà la sua personalità. E’ come se il piccolo ricevesse un’impronta dalla propria madre durante i nove mesi di gravidanza. Togliere un piccolo alla madre che lo ha partorito significa, quindi, produrre la rottura di un legame affettivo importante, una rottura che, anche se apparentemente non lascia segni, in effetti ha delle ripercussioni a lungo termine, più o meno latenti, sulla vita di un individuo.
Sono da considerare, inoltre, le reazioni di dolore e di sperdimento che un bambino può provare nel momento in cui gli viene rivelato che la propria madre lo ha partorito ma poi lo ha ceduto ad un’altra persona. Gli effetti sul senso del proprio valore e sul livello di autostima sono inevitabili. Si tratta delle reazioni che vengono riscontrate nei bambini adottati, ai quali è necessario far elaborare il lutto di non essere stati voluti o tenuti dalla propria madre, al di là, delle ragioni per le quali questo è avvenuto, ragioni che in alcuni casi sono comprensibili ma difficili da accettare.
Un’ultima considerazione che spinge a ritenere discutibile la pratica dell’”utero in affitto”, più o meno a pagamento, riguarda le reazioni della madre “gestazionale”. Un utero non è un scatola vuota priva di connessioni con l’intero corpo, mente e affettività di una donna. Una donna “sente” il bambino durante la gravidanza e si lega a lui in quei nove mesi. Togliere un piccolo alla madre, dopo il parto, anche lì dove la donna è consenziente, produce inevitabilmente dolore, e di conseguenza alterazioni dell’umore e della condotta.
Queste considerazioni non sono spia né di sessismo né di omofobia, ma purtroppo queste “etichette” vengono spesso utilizzate per impedire la diffusione delle conoscenze su come e su cosa garantisce uno sviluppo umano ottimale.
Grazia Attili è Professore Ordinario ed Emerito di Psicologia Sociale, Sapienza Università di Roma. Autrice del saggio "Attaccamento e Legami: La Costruzione della Sicurezza", edito San Paolo