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lunedì 07 ottobre 2024
 
lotta al covid
 

Vaccini per tutti e brevetti: la partita decisiva per vincere la pandemia nel mondo

23/02/2021  Delle 128 milioni di dosi somministrate finora, oltre i tre quarti sono avvenute in soli 10 Paesi che rappresentano il 60% del Pil mondiale. Mentre in circa 130 paesi, con 2,5 miliardi di persone, deve essere ancora somministrata una singola dose di vaccino. L’accaparramento in atto dei farmaci da parte dei Paesi economicamente più forti decreterà il fallimento dell’obiettivo di raggiungere l’immunità globale. Perché non sospendere i diritti sui brevetti e liberalizzare la produzione dei vaccini?

   La lotta contro l pandemia si vince o si perde tutti assieme. Tradotto significa che l’accaparramento, già in atto, dei vaccini  da parte dei Paesi economicamente più forti  rispetto a quelli più poveri decreterà il fallimento dell’obiettivo di raggiungere l’immunità globale. Che, detto ancora in altri termini, significa che il “nazionalismo sanitario”, ma anche quello continentale, prima ancora che essere antisolidale, è semplicemente fallimentare.

   L’allarme contro questa miope politica ch esclude i popoli più poveri dall’accesso alle medicine è stato lanciato da più parti nelle settimane scorse, ma ha sortito ancora pochi effetti pratici. Nel nostro Paese, ma anche altrove, sembra addirittura non esistere il problema, o meglio si insiste genericamente sull’insufficienza della produzione dei vaccini, ma non si va molto oltre, mentre la discussione s’incentra sempre e soltanto sull’opportunità di realizzare il lockdown, in che forme e tempi.

   L’ultima presa di posizione è quella dell’Oms e dell’Unicef che il 12 febbraio scorso hanno firmato congiuntamente un documento in cui si afferma che “delle 128 milioni di dosi di vaccino somministrate finora, oltre i tre quarti delle vaccinazioni sono avvenute in soli 10 paesi che rappresentano il 60% del PIL mondiale. Ad oggi, in circa 130 paesi, con 2,5 miliardi di persone, deve essere ancora somministrata una singola dose di vaccino”.   Da qui  la condanna delle due agenzie internazionali di “questa strategia autolesionista”, perché “costerà vite e mezzi di sostentamento e darà al virus ulteriore opportunità di mutare, eludere i vaccini e minacciare la ripresa economica globale”.   Le strategie di vaccinazione, devono, cioè, cambiare , guardando oltre i confini delle nazioni se vogliono essere efficaci.   Intanto il segretario generale dell'Onu Antonio Guterres  ha auspicato l’istituzione di una 'Task Force di emergenza G20' che sviluppi un piano vaccinale globale.

   Nel frattempo la Commissaria europea per la salute e la sicurezza alimentare Stella Kyriakides  aveva  già sottolineato l’importanza di un approccio globale alla pandemia: “Nessun paese sarà in salvo e nessuna economia riuscirà davvero a riprendersi finché il virus non sarà sotto controllo in tutti i continenti”. E aveva ricordato l’importanza di “Covax”, lo strumento che l’UE ha contribuito a creare e che è finalizzato a garantire un accesso equo e universale ai vaccini contro la COVID-19, con lo scopo di acquistare 2 miliardi di dosi entro la fine del 2021, di cui 1,3 miliardi per i Paesi a basso e medio reddito.

  In Parlamento europeo, l’eurodeputata spagnola  Iratxe Garcia Pérez, del gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici, ha invece messo in guardia dal pericolo rappresentato dal cosiddetto “mercato parallelo”  che potrebbe danneggiare la cooperazione sui vaccini in Europa. “Se siamo in grado di conservare l’unità e avere equa distribuzione dei vaccini negli Stati membri, abbiamo ragione di credere che 380 milioni di cittadini europei verranno vaccinati entro l’estate. Questa è un’impresa scientifica e sanitaria che non può essere rovinata da contratti in parallelo e vendite dirette. (…). Lasciateci parlare con un’unica voce così che la più grande campagna di vaccinazione nella storia possa ridarci speranza nel 2021”. Ma la dichiarazione d’intenti dell’Ue “nessun europeo sarà al sicuro  fino a quando tutti gli europei saranno al sicuro, è da correggere, con “nessun europeo sarà al sicuro  fino a quando tutti gli abitanti della terra saranno al sicuro”.

   Dal continente africano giungono puntualmente conferme sulle difficoltà di approvvigionamento di vaccini da parte dei Paesi più poveri. L’attivista per la giustizia sociale e per i diritti umani, fondatrice della Health Justice Initiative (HJI) in Sudafrica, Fatima Hassan, afferma: «Ci troviamo in una grave crisi. Se anche in Sudafrica non riusciamo a far vaccinare presto nemmeno metà della nostra popolazione, non riesco nemmeno a immaginare come faranno Zimbabwe, Lesotho, Namibia e il resto dell'Africa. Se continuerà così per altri tre anni, non si raggiungerà alcun tipo di immunità continentale o globale». Si potrebbe riproporre quanto accadde negli anni '90  quando il vaccino per l'HIV/Aids fu reso disponibile per gli africani sei anni dopo l’entrata in commercio negli Usa. Tra il 1997 e il 2007 sono morti 12 milioni di africani, prima che fossero disponibili i farmaci. Il rischio è che ciò si ripeta oggi col covid. Ma se resta sotto scacco del virus un continente, lo è l’intero pianeta.   

   Un buon segnale è arrivato pochi giorni fa dal vertice del G7 che ha deciso l’incremento dei fondi per il “Covax”. "Oggi, con l'impegno finanziario aumentato di oltre 4 miliardi a Covax e ad Access to Covid-19 Tools Accelerator (ACT-A), il sostegno collettivo del G7 sale a 7 miliardi e mezzo di dollari", si legge nella dichiarazione finale firmata dai leader del G7, nella quale si definisce "il ruolo di un'immunizzazione estesa un bene globale collettivo".

   D’altra parte, anche da un punto di vista macro-economico,  gli studi realizzati su due scenari (il primo che prevede la vaccinazione completa dei soli Paesi ricchi entro aprile e  solo il 50% degli altri  entro la fine dell’anno; e il secondo scenario che prevede, invece, campagne di vaccinazione allo stesso ritmo in entrambe le aree) dimostrano che nel primo caso “la perdita economica globale ammonterebbe e oltre 3.760 miliardi di dollari rispetto alla seconda ipotesi. E il 50% di questi costi andrebbe a colpire proprio le economie avanzate.

   Tutti contrari, quindi, al “nazionalismo sanitario” e all’accaparramento dei vaccini a scapito dei più poveri? Non è proprio così. Come mai allora resta fuori dalle agende politiche la discussione sui diritti dei brevetti vaccinali che avvantaggia le holding farmaceutiche, che di fatto oggi agiscono in regime di monopolio?  Molte organizzazioni non governative chiedono da tempo, ma invano, la sospensione dei diritti sui brevetti, per la produzione “libera” e a basso costo dei farmaci.  Dal 2003 la WTO con la “Dichiarazione di Doha”  ha previsto, in effetti, regimi derogatori per l’accesso ai farmaci ai Paesi in via di sviluppo, ma finora i Paesi ricchi lo hanno permesso solo una volta per i farmaci contro l’Aids. La giustificazione a difesa delle holding  è che tutelare i brevetti significherebbe garantire i profitti all’industria farmaceutica che altrimenti non investirebbe più in ricerca necessaria per arrivare ai vaccini. Ma è una verità “debole”, perché  nel caso del covid-19,  la maggior parte dei fondi necessari a sviluppare i vaccini è stato sostenuto da mastodontici investimenti statali, sia attraverso fondi per la ricerca che tramite accordi di acquisto di dosi a sperimentazioni ancora in corso. Insomma il “rischio imprenditoriale” in questo caso se lo sono accollati i governi e non le industrie farmaceutiche.   Per soffermarci solo sull’Unione Europea, come osserva Tancredi Buscemi, sul Sole 24 Ore, “La Bei, la Banca Europea degli investimenti, ha erogato durante la sperimentazione del siero Pfizer-Biontech 100 milioni per la ricerca. La Commissione ha invece acquistato, a sperimentazione in corso e quindi assumendosi il rischio di investimento, 200 milioni di dosi, sempre di Pfizer-Biontech, 80 milioni di dosi di Moderna più circa 336 milioni di euro per ricerca e sviluppo e rifornimento di dosi, sempre a scatola chiusa, per le forniture di Astrazeneca.

   La stessa tesi a difesa dei brevetti, infine, che i Paesi del Sud del mondo non sarebbero comunque in grado di produrre farmaci così sofisticati è stata smentita dai fatti dall’India e lo stesso Sudafrica durante l’epidemia di Aids. Insomma l’equa distribuzione globale dei vaccini contro il virus ha molto a che fare con i diritti sui brevetti perché in gioco c’è un bene pubblico universale.  E la loro liberalizzazione (anche solo temporanea) potrebbe portare a una nuova produzione diffusa  e in tempi più rapidi dei vaccini, garantendo l’immunità anche nei Paesi a basso reddito.

(fonti: https://www.valigiablu.it/vaccini-disuguaglianze/; https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2021/02/18/vaccini-brevetti-governi/?refresh_ce=1; https://www.nber.org/papers/w28395); .

 

 
 
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