Chi, tra la fine degli anni Novanta e il primo decennio del nuovo millennio, ha conosciuto quel Movimento per la pace che ha unito trasversalmente migliaia di cittadini nell’impegno per la realizzazione di «un altro mondo possibile», la ricorderà tra i testimonial più rappresentativi del Sud del mondo.
Voce trasparente e decisa delle carovane della pace organizzate dai missionari comboniani, Valdenia Aparecida Paulino, avvocata brasiliana candidata al Nobel per la pace, dopo aver speso trenta dei suoi 52 anni in difesa dei diritti dei più deboli nelle favelas urbane del suo Paese, da settembre lavora nello stato amazzonico del Maranhão. Un trasferimento che, in un periodo tragico per l’Amazzonia, sa di profezia. Ad Açailândia, Valdenia Paulino e il marito valtellinese Renato Lanfranchi sono stati invitati dalla ong dei missionari comboniani Justiça nos Trilhos, che difende e promuove i diritti delle comunità locali contadine, indigene e quilombolas (discendenti dagli schiavi africani), sconvolte dalla distruzione della foresta provocata dal business delle grandi compagnie minerarie. Valdenia si dedica alla difesa giuridica delle comunità e alla formazione popolare e dei leader della comunità, mentre il marito coordina un progetto di sensibilizzazione e organizzazione popolare sui diritti umani e socio-ambientali.
VANGELO E COMUNITÀ
Due sono i cardini su cui si basa da sempre la vita dell’avvocata Paulino: il Vangelo e lo spirito comunitario. «Sono nata in una famiglia di migranti e cresciuta, con cinque fratelli e sorelle, a Sapopemba, una delle periferie più violente della città di San Paolo», racconta. «Ho imparato presto che la distanza tra la vita e la morte può essere molto breve per chi vive in un Paese con grandi disuguaglianze sociali ed economiche come il Brasile. Ma la presenza, nello stesso territorio, di una Chiesa cattolica viva, impegnata con gli emarginati, è diventata lo spazio formativo più importante del mio percorso umano e professionale».
L’IMPEGNO CONTRO GLI ABUSI
Valdenia non riusciva ad accettare le morti violente di adolescenti per le strade, gli abusi commessi contro le donne, le bambine costrette a prostituirsi, le famiglie ridotte in condizioni disumane, con figli che morivano di fame e malattie.
«Cercando di rispondere alla vocazione battesimale, all’età di vent’anni sono andata a vivere in una casa, acquistata dalla nostra Conferenza episcopale regionale e dall’Unicef, per ragazze senza famiglia, costrette a prostituirsi, alcune sieropositive e molte con bambini piccoli», racconta. «Con l’appoggio dei missionari comboniani, di altri religiosi e insieme ad alcuni parrocchiani, abbiamo creato un centro per la difesa dei diritti dei bambini e degli adolescenti e un altro per i diritti umani, che raccoglie le denunce di violenze contro i residenti delle favelas, offre consulenza legale e assistenza psicologica e fa formazione nelle comunità».
«Come insegna papa Francesco», aggiunge Valdenia, «la parrocchia deve stare con il popolo, aprire le porte, incontrare i bisognosi, in una proposta di fede vera e radicale, perché la celebrazione della Parola e dell’Eucaristia possano acquisire significato. In questo spirito sono stata educata nella fede cristiana cattolica. Non esiste una comunità di una persona: ho sempre pregato, lavorato e celebrato nel collettivo».
Ma difendere la vita e denunciarne legalmente gli abusi e gli abusatori in una società in cui, come spiega l’avvocata, «l’avere vale più dell’essere, dove lo Stato è al servizio del capitale e dei potenti, e la prosperità materiale è propagandata come una benedizione divina dalle sètte religiose», può avere conseguenze molto brutte.
LE MINACCE E LE VIOLENZE
«Ricordo le innumerevoli volte in cui il nostro centro è stato saccheggiato, le minacce di morte, gli attacchi fisici, la violenza sessuale subita e il procedimento penale contro mio marito Renato». Quattro volte Valdenia ha dovuto abbandonare il Paese per sfuggire alla persecuzione di poliziotti corrotti. Ma l’indignazione di fronte alle ingiustizie, unita all’amore per i deboli e gli umiliati, sono state più forti. «Ho cercato di mettermi al loro fianco e condividerne le sofferenze, visitando i giovani in carcere, ascoltando i tossicodipendenti, consolando madri che avevano perso figli assassinati dalla polizia, rincuorando una comunità che seppellisce i suoi figli vittime di traffici illeciti o andando per le viuzze della favela, giocando con i bambini, ascoltando i problemi delle persone».
La stessa visione di una società più giusta, umana e fraterna Valdenia Paulino oggi prova a realizzarla nello Stato più povero del Brasile, nel Nordest dell’Amazzonia che brucia. Di una cosa è certa: «Se, da un lato, la violenza cresce nel mondo, dall’altro Dio ci ha dato la guida e la testimonianza di papa Francesco, che ci insegna a rimanere saldi nella difesa della vita e contro questo sistema economico-politico di morte. La nostra missione di coppia ora è in Amazzonia; e qui saremo durante il Sinodo di ottobre. Camminando con fede, perché, come canta il brasiliano Gilberto Gil, “la fede non ha l’abitudine di fallire”».