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giovedì 05 dicembre 2024
 
intervista
 

«Il mio amico padre Dall’Oglio ci ha insegnato a credere nel dialogo»

22/11/2024  «La guerra in Medio Oriente ha reso ancora più attuale la sua testimonianza di pace e di convivenza fra fedi diverse», dice suor Elena Bolognesi che ha conosciuto il gesuita rapito nel 2013 che avrebbe compiuto 70 anni il 17 novembre scorso. A lui è dedicato il documentario di Fabio Segatori in onda su Rai 3 in cui la religiosa offre la sua testimonianza

Sopra, suor Elena Bolognesi, 58 anni. Nel 1991 ha lasciato il giornalismo per entrare, prima donna in assoluto, nella comunità interreligiosa fondata da padre Dall'Oglio in Siria
Sopra, suor Elena Bolognesi, 58 anni. Nel 1991 ha lasciato il giornalismo per entrare, prima donna in assoluto, nella comunità interreligiosa fondata da padre Dall'Oglio in Siria

La sua è una delle 30 interviste esclusive del documentario Paolo Dall’Oglio, il gesuita rapito dall’Isis e mai più ritrovato. Per il Centro Ambrosiano ha tradotto dall’arabo il suo volume Il mio testamento e curato il secondo, Dialogo sempre con tutti, uscito di recente.

La messa in onda del documentario, il 22 novembre alle 16 su Rai 3, sarà accompagnata da due proiezioni: il 17 novembre alle ore 10.30 al cinema Adriano, a Roma, e il 19 alle ore 20.30 al cinema Palestrina, nel capoluogo meneghino. «A Milano, prima di partire per la Siria, avevo iniziato a studiare l’arabo classico, ma di fatto l’ho imparato nel deserto, grazie a padre Paolo Dall’Oglio, che lo parlava meglio degli arabi e si esprimeva nei dialetti più strani perché la gente, là, non usa la lingua del Corano. Io parlo anche il siro-libanese. Rientrata, mi sono laureata in arabo ed ebraico».

Lei è Elena Bolognesi, prima donna a entrare a Deir Mar Musa, la comunità monastica fondata nel deserto siriano da Paolo dall’Oglio, il gesuita che per trent’anni si è speso per il dialogo tra cristiani e musulmani, rapito dall’Isis a Raqqa nel 2013. Unica donna con due uomini: l’altro era padre Jaques Mourad, oggi arcivescovo di Homs. «Presi la decisione a 25 anni, mia mamma s’ammalò e riuscii a partire solo due anni dopo, nel ’93. Mollai tutto, compreso un contratto sicuro da giornalista».

Suor Elena, oggi nella comunità Sorelle del Signore di Milano, si è consacrata nel deserto. «Il mio percorso vocazionale, però, era iniziato prima, col Gruppo Samuele del cardinale Martini, che inviò al nunzio apostolico di Damasco e al vescovo di Homs una lettera di presentazione che ebbe un certo peso, perché all’inizio la comunità non era pensata mista. Dopo arrivarono ragazze siriane».

C’è della magia nel suo racconto. «ll monastero è costruito su uno sperone di roccia: ci si arriva solo a piedi, da dietro la montagna. Davanti, di colpo, si apre il deserto, sempre uguale e sempre diverso, affascinante perché ti permette di ritrovare l’essenzialità della relazione con Dio. Non è isolamento, ma un vuoto riempito dalla fede».

Di padre Paolo l’ha sempre colpita il coraggio, quel farsi tutto a tutti, come insegnava san Paolo, che lui rendeva attuale. «Ha riedificato il monastero in rovina pietra su pietra, con l’aiuto di gruppi di giovani. Per lui che venisse un pastore o l’ambasciatore americano non c’era differenza. Il senso era accogliere senza mai mettere in discussione la propria fede, come aveva sostenuto anche il cardinal Martini nel suo discorso del ’90 Noi e l’Islam. Le autorità siriane lo espulsero perché cercava non solo una soluzione di pace, ma anche di riconciliazione fra le anime diverse della Siria».

A Gerusalemme, per padre Paolo, le tre fedi abramitiche avrebbero dovuto convivere. «Questa idea la maturò fin dalla proposta di spartizione del ’47, con cui l’Onu aveva sostenuto la creazione di due Stati, Israele e Palestina, con Gerusalemme a statuto internazionale sotto controllo delle Nazioni Unite. Ma, forse, più che a Gerusalemme, è a Ebron, in Palestina, dove c’è la tomba di Abramo, che si capisce la tensione di quella terra. Lo feriva che la tomba di Abramo, padre di tutti, cristiani, ebrei e musulmani, fosse violentata così».

Di quello che sta accadendo in Medio Oriente, suor Elena dice: «Netanyahu si è progressivamente spostato verso destra per mantenere il potere, ha fatto un accordo con gli israeliani che teorizzano la pulizia etnica dei palestinesi. Hamas usa il proprio popolo come carne da macello e ha gioco facile perché trova una generazione di giovani disperati. Sono stata a Gaza vent’anni fa e non ho mai visto un luogo così tremendo, una prigione a cielo aperto. Se nasci a Gaza, cresci e muori lì, in 40 chilometri per 12.

Il dramma dei palestinesi è il silenzio degli occidentali e in primis dei Paesi arabi. Nessuno si mette contro Israele denunciando le violazioni, perché con Israele hanno sempre fatto affari. Israele ha diritto di difendersi, ma anche i palestinesi hanno diritto di essere un popolo, con una terra, dei confini e delle risorse. A Betlemme Israele controlla i pozzi d’acqua. Bisognerebbe toccare con mano prima di giudicare, conoscere le ragioni e la sofferenza dell’altro: come ha insegnato per tutta la vita padre Paolo».

 
 
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