Spezzare le catene. Quelle dell’indifferenza e della paura. Spezzarle in carcere che si trasforma in teatro.
Succede a Torino, presso la Casa circondariale ‘Lorusso e Cotugno’ meglio conosciuto come il carcere delle Vallette. Qui, per otto serate consecutive dal 9 al 18 ottobre, la prigione si apre al pubblico e diventa palcoscenico. È di scena Cicatrici e guarigioni: una serie di spettacoli realizzati con il sostegno della Compagnia di San Paolo in collaborazione con l’assessorato alla cultura della Città di Torino.
Cicatrici e guarigioni si basa un format ben preciso: ogni sera si comincia con un monologo di una vittima di scippi e rapine, si prosegue con quello di un autore di un reato (diverso, però, da quello che ha colpito la vittima) fino all’incontro tra i due sul palco, a cui segue l’interazione con il pubblico.
Anima del progetto è il regista Claudio Montagna, del TS Teatro e Società.
«Cicatrici e guarigioni – spiega Montagna – si pone un obiettivo preciso: rompere lo schema dei buoni e cattivi». Il focus è posto innanzitutto sulla vittima: «Spesso si pensa che, una volta trovato il colpevole e fatta giustizia, il problema sia risolto. Invece, nella vittima rimane una ferita nell’anima, un vuoto difficile da colmare».
Da qui la scelta di mettere in primo piano le vittime: «Non è voyeurismo, è desiderio di scandagliare nell’animo umano perché la giustizia non può fermarsi solo all’aspetto riparativo». Oltre la vittima, naturalmente, c’è l’autore del reato. Sotto questo aspetto Montagna è preciso: «Non si cerca l’happy end, il perdono: sarebbe superficiale. Molto più seriamente puntiamo ad affermare la cultura della ricerca, del dialogo; ciascuno, pubblico compreso, può farsi la sua opinione ma almeno è scaturita da un confronto».
Ma chi sono i protagonisti dei Cicatrici e guarigioni?
L’individuazione delle vittime è avvenuta dopo un serie di incontri
presso la sede del Gruppo Abele di Torino; quelli con i detenuti nel
teatro della casa circondariale. Un ambiente che Montagna conosce bene
in quanto cura dal 1993 un laboratorio teatrale con i detenuti del
padiglione A.
Il regista traccia un bilancio della sua esperienza
ventennale: «In questi anni l’ambiente del carcere è cambiato molto, tra
gli operatori, per esempio i cosiddetti secondini, si è sviluppata
sensibilità e spirito di collaborazione per iniziative come la mia». E
per finire: «La prigione non è solo sbarre, ma anche il luogo di
umanità, basta saperla coltivare. È un percorso lungo e tortuoso, però
vale la pena procedere su questa strada. Senza fermarsi».