Cara professoressa, ho letto dei numerosi atti vandalici compiuti da adolescenti all’interno degli istituti scolastici durante il periodo estivo. La domanda che mi pongo sempre è come sia possibile che nessuno se ne accorga prima, che le famiglie degli interessati rimangano puntualmente sconvolte e che la scuola non riesca a prevedere quali ragazzi presenti lì in inverno per almeno trenta ore a settimana si trasformeranno, a luglio e agosto, in devastatori di luoghi pubblici simili a quelli che li hanno ospitati. Non sono mamma di figli adolescenti, ma è possibile che non ci sia un modo per prevenire tutto ciò?
MARTA
— Cara Marta, davanti alle immagini dei vetri infranti, dei banchi rovesciati e delle svastiche che imbrattano i muri si rimane colpiti. Se poi sono quelli della propria scuola o di un istituto qualsiasi del proprio paese, si vive un profondo dispiacere. Perché è come se fosse stato oltraggiato un luogo caro, quello respirato e vissuto da studenti, da cittadini. Un luogo, insomma, che un po’ ci appartiene. Questo il punto: non si devasta ciò che è sentito e percepito come proprio. Il vetro infranto è il segno di un legame che non c’è, di un rapporto che non si è creato. Si legge, per citare alcuni dei fatti ai quali ti riferisci, degli atti vandalici nella scuola primaria Aldo Fabrizi di via Valerio Publicola all’Appio Claudio, Roma, della devastazione operata nell’Istituto comprensivo Fregene-Passoscuro, sul litorale laziale. E non ci si può non chiedere quanto negli adolescenti sia forte la noia, quanto sia enorme il bisogno di farsi sentire, di farsi notare, di proclamare la propria esistenza. E quanto sia assente il rapporto emotivo con ciò che si vive e si vede ogni giorno, con un mondo di adulti che non ascolta e non guida, che non dice no perché il più delle volte non c’è: a loro si grida, le immagini finiscono sul web. Mi chiedi la scuola, da parte sua, che cosa faccia per prevenire. Intanto, ti assicuro, ha occhi per guardare. E vede un’immensa solitudine, un’infinità di conflitti familiari. Che diventano canne, proteste, attacchi fisici e verbali. La prevenzione è lenta, faticosa, non sempre dà certezze: richiede la creazione di legami con persone e luoghi, la presenza anche alle iniziative del proprio territorio, il lavoro con i colori per dipingere i muri delle aule, la messa in scena di spettacoli teatrali, gli open day con ragazzi a rischio che diventano ciceroni. A volte ci si scoraggia perché tutto ciò è faticoso, non sembra dare risultati immediati, costringe a non mettere il programma in primo piano. Ma creare legami forti con persone e luoghi, diventare adulti credibili, è l’unica via.