Cara professoressa, sono un’insegnante di liceo e mamma di due figli adolescenti. Sono rimasta molto scossa leggendo dei fatti che si sono vericati al liceo Virgilio di Roma. Mi limito a citare l’episodio delle due bombe carta esplose nel cortile durante la ricreazione, senza soffermarmi sugli stupefacenti o sui presunti video hard girati e poi diffusi via Web. La reazione del presidente del comitato dei genitori letta sui giornali è stata per me sconvolgente: «Cose deprecabili, stupide ma riferibili a una goliardia che c’è sempre stata nella scuola», ha detto. Ho pensato a come avrebbe reagito mio padre se avesse saputo una cosa del genere, a cosa avrei detto io a mia figlia se fosse stata lì. A cosa avrei detto io, professore, a quei ragazzi. Il cortile era pieno, mi risulta che in tanti abbiano visto ma nessuno abbia parlato…
MATILDA
— Cara Matilda, i recenti fatti di cronaca di cui parli – oggetto peraltro di indagini in corso – forniscono importanti spunti di riflessione. Mi viene in mente un episodio al quale ho assistito molti anni fa, quando un professionista conosciuto, tenendo un corso di formazione e parlando delle inquietudini degli adolescenti, raccontò di come sua figlia liceale avesse contribuito, anni prima, ad allagare la scuola che frequentava. Ricordo che non mi sconvolse tanto il fatto in sé, quanto il tono usato, leggero e con una punta di ironia. Era stata dipinta come una normale reazione adolescenziale, una cosa da raccontare in un corso di formazione, non di cui vergognarsi. Mi sembra proprio questo il punto. La vergogna. Il dizionario recita: è quel «sentimento più o meno profondo di turbamento e di disagio suscitato dalla coscienza o dal timore della riprovazione e della condanna di altri per un’azione, un comportamento o una situazione, che siano o possano essere oggetto di un giudizio sfavorevole, di disprezzo o di discredito». Insomma, per vergognarsi e prendere coscienza occorre che ci sia necessariamente qualcuno dall’altra parte che esprima un giudizio sfavorevole. Occorre che si ribadisca il limite in modo netto, che si insegni ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò che si può e ciò che non si può fare. È il compito degli adulti, della famiglia, della scuola. Solo così può arrivare il turbamento, la consapevolezza dell’errore o la forza di raccontare. Il primo dovere della scuola (e della famiglia) dovrebbe essere quello di formare onesti cittadini. Forse, in questo caso – qualora ogni cosa letta risultasse vera – parlando di “goliardia” si è persa un’importante occasione: quella di insegnare ai più che hanno visto il coraggio della verità.