In un altro momento storico, quando Vanessa Ferrari aveva ancora l’aria bambina, sarebbe venuto spontaneo, in un giorno così, pensarla come un passerotto abbattuto in volo: perché è così che succede quando un ginnasta si rompe il tendine d’Achille. Si salta e si atterra a peso morto, incapaci di rialzarsi. Ma ora no, perché Vanessa l’aria da pulcino bagnato, per quanto determinato, l’ha persa da un pezzo. Ha gli occhi di una donna sicura di sé, adesso, di una donna che sa quello che vuole.
Anche da piccola voleva vincere, ma è stata lei ad ammettere nella sua ultima intervista a Fc che da grandi è un’altra cosa: tutto più difficile, un’altra responsabilità, un'altra consapevolezza, oltre ovviamente alla fatica di fare i conti con un corpo che cresce, cambia e si logora. Voleva una medaglia, forse l’ultima, ai Mondiali di Montreal: 27 anni sono tanti per una ginnasta, costretta tante volte a ripartire dagli infortuni. Per questo, una volta in finale, voleva con tutte le sue forze giocarsi tutte le sue carte, dimostrare a sé stessa e al mondo di esserci ancora, di essere ancora lì a giocarsela con le migliori. Dimostrare di esserci per il suo presente non solo per la sua storia. Dimostrare anche a sé stessa che non era stato un azzardo essere lì, al rientro dall’ennesimo acciacco.
Voleva. E glielo si è visto nello sguardo anche dopo, quando ha rialzato la testa, dopo la caduta: esprimeva più rabbia e orgoglio che spavento. Consapevolezza, anche. Aveva già capito tutto Vanessa, riconosciuto la maledizione che, nella ginnastica italiana, ha perseguitato, da Chechi a Menichelli, sempre i migliori. Ed è difficile immaginare che possa accadere in modo più traumatico di così: in gara, in una finale mondiale. La lacrima che è venuta giù, dopo, a scomporre il trucco, sembrava soprattutto di rimpianto: c’era in quello sguardo profondo e fiero la consapevolezza che potrebbe non essere come le altre volte, che la parete da scalare man mano che il tempo che passa diventa un po’ più verticale. A 27 anni potrebbe non esserci il tempo di ricominciare.
Fin qui Vanessa, che ha sempre avuto nella determinazione la sua qualità sportiva migliore, è sempre tornata: non l’hanno fermata i tendini delicati, non l’ha fermata l’anagrafe che correva in uno sport che brucia in fretta, non l’ha fermata neppure la beffa del quarto posto olimpico di Londra con lo stesso punteggio della terza: tutta colpa di un regolamento assurdo, e neanche il quarto posto di Rio 2016. Eppure due legni sono duri da digerire.
La ginnastica nel frattempo in Italia è diventata popolarissima: i palazzetti sono pieni di ragazzine osannanti, la Tv dei reality l’ha resa uno sport da grande pubblico. Ma Vanessa, concentrata sulla sostanza, non ha mai dato troppo spago al lato glamour della faccenda: riservata, schiva, concentrata sulle gare, preferiva allenarsi e vincere, a costo di non nascondere qualche spigolo, di alienarsi qualche simpatia.
Comunque vada a finire ora Vanessa Ferrari resta la ginnasta azzurra più forte di sempre, l’unica capace di un titolo mondiale all-Around: è stato ad Aarhus in Danimarca nel 2006, quando Vanessa era uno scricciolo spigoloso. Comunque vada a finire rimarrà lì, a segnare la storia dello sport italiano. Anche un giorno ci sussurrò: «No, forse no. Se conoscessi in anticipo tutti i sacrifici questa vita non la rifarei».