Ancora oggi molte donne
si vedono rifiutare un
lavoro perché incinte oppure
perché già madri. Un
problema sociale che da
qualche tempo interessa
il mondo del cinema e
delle fiction. Come quella
in onda dal 28 aprile su Rai 1, Non
dirlo al mio capo!, per la regia di Giulio
Manfredonia. I protagonisti sono
Lino Guanciale e Vanessa Incontrada.
Lei è una trentenne, vedova da sei
mesi, con due figli da mantenere e 34
inutili colloqui di lavoro alle spalle.
Lui è un avvocato di successo, affascinante
quanto cinico e spietato sul
lavoro, e con un passato drammatico
tutto da scoprire.
Il seguito ce lo raccontano i due
protagonisti. Dice Vanessa Incontrada:
«Succede che soltanto mentendo,
nascondendo che sono mamma,
ottengo un lavoro da praticante
nello studio legale dell’avvocato».
Proprio come capita spesso anche
nella realtà…
«Noi donne non siamo agevolate
da questo punto di vista, inutile girarci
attorno. Certo, io non mi devo lamentare,
ma ho molte amiche che non
possono permettersi una tata come
capita a me. E questa disparità è quasi
ovunque. Nei Paesi del Nord dell’Unione
europea ci sono facilitazioni, anche
economiche, che nel Sud non esistono.
Questo vale, per esempio, in Italia ma
anche in Spagna, che conosco bene.
E anch’io, quando mi si presenta un
nuovo lavoro, devo sdoppiarmi. Prima
devo pensare a mio figlio, poi alle mie
esigenze. Per una donna, quando arriva
un bambino, si sposta decisamente
il baricentro della vita».
Un tema come questo in una fiction Tv, in prima serata per di più,
sembra un azzardo. Lino Guanciale
precisa: «Il registro è realistico, ma
stavolta lo si affronta attraverso la
commedia. E che una commedia voglia
aderire alla realtà mi sembra uno
degli elementi più importanti della
scrittura per il teatro come per il cinema
e la Tv. Poi, si sa, in una commedia
alcune tematiche rischiano l’effetto
consolatorio, ma sto dalla parte di
Bertolt Brecht quando diceva che certi
argomenti li puoi trattare più con
la commedia e con il comico che con
la tragedia. La potenzialità tragica dei
personaggi della commedia, infatti,
disinnesca il rischio di minimizzare i
problemi sociali».
E in Non dirlo al mio capo!, ecco, allora,
che entrano in gioco i più classici
dei temi di una commedia: lei s’innamora
di lui e dopo un po’ è ricambiata.
Dice ancora Guanciale: «Mi è toccato il
ruolo del “cattivone”, un tipo convinto
che l’aggressività sia vincente in un
gruppo di lavoro, ma quando entra in
gioco Lisa – questo il nome della protagonista – tutto cambierà.
Difficile, però, parlare di colpo di fulmine.
Il fatto è che questo personaggio
femminile colpisce tutti per la sua
sincerità. Lei è la porta per aprirsi ai
sentimenti, tanto che riuscirà a spingere
il freddo capo al ricupero di tratti
di leggerezza, alla riscoperta di quanto
la vita vada vissuta e goduta».
Interviene Vanessa: «Il mio è un triplo
ruolo che mi ha divertito molto. C’è
una Lisa normale, una Lisa in carriera
e una Lisa mamma, quasi antagonista
della Lisa che si finge single. E quando
lo spettatore crede che un problema finalmente sia stato risolto, ecco che arrivano
nuovi colpi di scena».
Quasi un doppio ruolo anche per
Lino: «Sì, perché conoscere finalmente
la realtà di Lisa riporterà il legale al cinismo
di prima, anche se lei lascerà un
segno indelebile su di lui».
Più complicato un ruolo da cattivo
o da buono?
«Fare il buono è più difficile. Il
cattivo ti costringe a scoprire tratti di
malignità interiore da cui devi tenere
le distanze. La credibilità del buono,
invece, è più difficile».
Vanessa: «Questa, comunque, resta
una commedia e sono convinta
che molte donne s’immedesimeranno
nella vicenda. Anche perché sappiamo
tutte che ci sono uomini che possono
fare molto e fanno, altri che vorrebbero,
e altri ancora che nulla fanno e non
capiscono. Tuttavia, sia ben chiaro che
nella vita a me piace essere donna, non
ho alcuna voglia di portare i pantaloni;
non posso fare anche l’uomo».
«Certo è che la commedia può aiutare
molte persone a discutere di un
problema del genere», dice Guanciale.
«Più in generale, siamo rimasti indietro
come Paese di almeno vent’anni su
troppe cose. E se la commedia s’incarica
di mostrare certi temi, non mi stupisco.
Quanto sarebbe bello se ci fossero
più commedie capaci di parlare di
gangli complicati della società, come
l’omofobia, il razzismo, il dialogo interreligioso.
Io non sono un credente,
pur venendo da una famiglia cattolica,
ma il tema dei rapporti tra le religioni
mi attrae e penso che sarebbe interessante
anche attraverso la commedia.
Dobbiamo fare ancora molto, ma sono
ottimista perché vedo che la televisione,
magari attraverso una fiction come
questa, si sta già impegnando».
E Vanessa, cosa può dire alle donne,
nelle vesti di Lisa?
«Nei suoi panni
sento di poter dare un consiglio a chi ci
guarderà: abbiate coraggio e concedetevi
un po’ d’ingenuità nell’affrontare
la vita. Buttatevi con coraggio, l’esempio
viene da papa Francesco».