Mario Lodi lo diceva già negli anni Cinquanta: «il degrado in classe porta degrado». E invitava i bambini della sua scuola elementare a Vho di Piadena a rendere bella la loro aula, perché di lì passava il percorso per diventare cittadini. Era convinto che da quello sforzo di abbellimento avrebbero imparato per sempre a rispettare la loro scuola e con essa la cosa pubblica come cosa di tutti e non l'avrebbero abbandonata, come troppo spesso accade alle nostre latitudini, come cosa di nessuno.
Abbiamo chiesto a Vanessa Pallucchi, responsabile nazionale di Legambiente scuola e formazione di aiutarci a capire che si può fare per le scuole che cadono a pezzi.
L’anagrafe destinata a monitorare l’edilizia scolastica è partita l'8 gennaio e sarà operativa tra qualche mese. Legambiente la chiede da almeno 15 anni, perché la ritenete così importante?
«Per due ragioni: la trasparenza verso i cittadini che si chiedono in che stato di salute sia l’edificio scolastico, cui affidano i propri figli e l’esigenza di programmazione. Quando parliamo di edilizia scolastica, parliamo di finanziamenti statali e territoriali, è necessario che per programmare e definire l’attribuzione dei finanziamenti si conosca con chiarezza l’entità dei problemi da risolvere. L’anagrafe è ciò che serve per dirci non solo l’età degli edifici, e sappiamo che il patrimonio è vetusto, ma quanti edifici hanno il certificato antincendio, quanti si trovano in area sismica e non hanno costruzioni a norma. L’anagrafe ci restituisce la fotografia della realtà su cui andare a operare».
Finora, senza, com'è andata?
«Ad oggi non avendola si è lavorato con finanziamenti a pioggia, e con una programmazione affidata alla sensibilità delle amministrazioni locali e della loro disponibilità economica, cosa che ha impedito di dare continuità soprattutto all’amministrazione ordinaria».
Lo straordinario fa più notizia, è più facile farvi convogliare consenso rispetto all'ordinario. Quanto ci vuole perché l'ordinaria amministrazione si traduca emergenza straordinaria?
«L’ordinario trascurato in due anni diventa straordinario, noi abbiamo territori nel Sud che hanno edifici scolastici molto più recenti rispetto a quelli del Piemonte o della Toscana e che pure sono messi peggio degli antichi e hanno più bisogno di manutenzione straordinaria. Questo significa due cose: che gli edifici più recenti sono stati costruiti male e che sono stati trascurati nella manutenzione ordinaria».
La questione è spalmata su competenze diverse: Comuni, Stato, Regioni, Province. Il coordinamento oggi com’è?
«A singhiozzo, non è continuativo. Renzi dovendo intervenire in mancanza di un’anagrafe, dovendo disporre finanziamento, ha chiesto ai sindaci di segnalare le scuole bisognose di intervento. In questi casi il rischio è la sperequazione. C’è il sindaco sensibile che monitora le scuole e magari chiede di rifare l’impianto elettrico e c’è il sindaco che ha una scuola alloggiata come capita in un appartamento e neanche chiede il finanziamento, perché neanche sa come sono messe le scuole del suo territorio».
C’è il rischio che la buona volontà si traduca in interventi a macchia di leopardo?
«La macchia di leopardo è una realtà, anche nella stessa città capita che ci siano scuole e scuole, tocca allo Stato verificare che queste differenze vengano colmate, anche formando amministrazioni capaci di monitorare in modo che si possa intervenire con criteri di priorità e qualità. Per questo l’anagrafe è importante. L’anagrafe è regionale ma è previsto che venga alimentata da un sistema, che noi auspichiamo sia come quello della Toscana, in cui le amministrazioni possano aggiornare in continuazione. Perché non è detto che un cornicione sano resti tale dopo un inverno molto piovosissimo».
Si nota almeno lo sforzo del Governo di porsi il problema e di stanziare i fondi, basterà la buona volontà a ricondurre il problema a una soglia accettabile?
«Noi scriviamo nel rapporto che l’edilizia scolastica è la buccia di banana su cui sono scivolati fin qui i Governi, perché tutti conoscono il problema, ma il problema è diventato enorme, soprattutto per carenza di metodologia nell’affrontarlo. Quando noi abbiamo scritto il primo rapporto, Prato stava in fondo alla classifica, poi l’amministrazione ha fatto un investimento specifico sulle scuole, le ha rimesse tutte a nuovo e oggi è quarta in classifica. Prato è la prova che con metodo, la tendenza in dieci anni si può invertire. Ma occorre confrontarsi sul tipo di scuola che ci serve, perché quando si mettono le toppe il rischio è di fare e disfare: magari prima riparo un solaio e dopo mi accorgo che devo ridisegnare gli spazi perché sono cambiate le esigenze. Prima riparo un pavimento e poi mi accorgo che serviva il cablaggio».
Si rischia di sprecare risorse?
«Certo, servirebbe previsione di lungo periodo: se so che al Sud ci sono sempre meno ragazzi in età scolare, devo prevedere che un edificio di scuola superiore che oggi ospita 900 ragazzi magari tra 10 anni ne avrà 500 e che il suo corrispettivo a Milano o in Emilia scoppierà. Anche questa è razionalizzazione delle risorse. Si tratta anche di capire che rapporto c’è tra Paese e scuola: oggi con "la buona scuola" si mostra sensibilità al problema e voglia di confronto, il nostro auspicio è che questo si traduca in un cambiamento vero».
La scuola secondaria superiore è di competenza delle Province, dal vostro punto di vista questa fase di incertezza si nota?
«Sì, perché abbiamo fatto più fatica a ottenere i dati utili alla compilazione del rapporto, nell’ultimo anno hanno risposto meno. L’edilizia delle scuole superiori è la più trascurata, ha grande necessità di interventi. Ed è inevitabile che la scuola secondaria dipenda amministrativamente da enti sovracomunali, perché i Comuni piccoli non hanno scuole superiori. Sappiamo che quello che resterà delle Province manterrà questa competenza, ma sono enti che stanno assumendo un’identità ora e la metodologia e l’organizzazione dei finanziamenti è tutta da organizzare. Di sicuro le scuole secondarie, nel punto di passaggio dalla scuola dell’obbligo, -che oggi finisce a 16 anni ndr.-, sono il punto più a rischio di dispersione. Di sicuro scuole degradate non sono l’ideale per convincere ragazzi decisi a lasciare che lì si sta investendo sul loro futuro».