Il cardinale Ravasi inaugura il Vatican Day all'Expo (foto F. Scaglione).
La scommessa adesso è andare oltre l'Expo. Per continuare a fare, in maniera nuova e con energie fresche, ciò che il dettato evangelico della carità prescrive per tutti: dare da mangiare agli affamati e da bere agli assetati. All'Expo di Milano è il giorno della Santa Sede. Un'occasione per far pensare sul senso della presenza della Chiesa («una spina nel fianco, un pungolo per riflettere», la definisce il cardinale Gianfranco Ravasi che fa gli onori di casa) e fare il punto su questo primo scorcio della manifestazione. I numeri li fornisce l'arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola: 135 mila persone nel mese di maggio hanno visitato il padiglione della Santa Sede, circa 32 mila quelle che sono passate dall'edicola della Caritas all'inizio del Decumano. Oltre 300 gli eventi fuori Expo, 800 mila i biglietti d'ingresso venduti dalla Duomo Viaggi, l'agenzia della diocesi ambrosiana, 50mila le persone che la sera del 18 maggio hanno gremito piazza Duomo per lo spettacolo-evento sull'Eucarestia. Fino al Refettorio Ambrosiano di piazza Greco inaugurato una settimana fa dove si utilizza il cibo avanzato cucinato da grandi chef come Massimo Bottura e che sarà una delle eredità più importanti dell'Expo per i bisogni di quella Milano “plurale” evocata da Scola.
I paradossi del cibo
La Chiesa ha offerto un supplemento d'anima
importante, forse decisivo, per un evento che è retorica, marketing,
festa di popolo. Insomma, tante cose insieme. Scola lo sottolinea
chiaramente: «Siamo figli», dice, «di un Dio che si è “giocato”, si è
coinvolto nella storia umana fino a farsi carne e sangue nel Figlio. La
Chiesa non può disinteressarsi a tutto ciò che è umano, a cominciare da
ciò che nutre l'uomo che non è solo il cibo materiale. Ecco perché siamo
qui». In Auditorium, con gli intermezzi musicali dell'orchestra
sinfonica Esagramma fondata da Pierangelo Sequeri e composta da 50
elementi di cui 25 con disabilità, scorrono le immagini del cibo negato:
dall'Ecuador al Medio Oriente, dall'America Latina all'Asia. C'è la
voce del Papa che in un video ricorda il paradosso di questo tempo: in
una parte del mondo si muore di fame e per migliaia di persone ci sono
solo le briciole, nell'altra – quella del Nord del mondo, la nostra – si
hanno problemi di dieta e il cibo viene sprecato o buttato via. Il
cardinale Ravasi cita un dato che fa riflettere: il 19 agosto del 2014
avevamo già consumato tutte le risorse per il 2014: «Significa che
stiamo andando avanti a debito», rimarca.
Da sinistra: monsignor Sequeri, il cardinale Scola, il cardinale Bagnasco, il cardinale Ravasi e monsignor Becciu con i ragazzi dell'Orchestra Esagramma (foto F. Scaglione).
«Fame di bellezza»
Ma il
senso della presenza della Santa Sede all'Expo è più forte del pur
importante richiamo ad assicurare il cibo per tutti i popoli. Papa
Francesco lo ripete chiaramente: «La Chiesa non è un'Ong». Ecco, quindi,
che sia Ravasi che il presidente della Conferenza episcopale italiana,
il cardinale Angelo Bagnasco, sottolineano la provocazione del motto
evangelico, “Non di solo pane”, che è stato tradotto in 13 lingue
all'esterno del padiglione vaticano. «Tutti abbiamo bisogno di
bellezza», spiega Ravasi ricordando le recenti iniziative di Papa
Francesco che ha invitato i clochard a visitare la Cappella Sistina («le
guide mi hanno detto che erano tra i visitatori più attenti e stupiti»)
e al concerto in Aula Nervi. «Abbiamo fame di bellezza», scandisce il
cardinale che chiude il suo intervento con le parole del Salmo 60: “O
Dio, di te ha sete l'anima mia. A te anela la mia carne”.
E Bagnasco
aggiunge: «Il nutrimento del corpo non può diventare un valore assoluto.
Se ci soffermiamo solo sulle necessità materiali e il possesso della
ricchezza l'uomo smarrisce Dio e, quindi, anche se stesso. Il
materialismo va di pari passo con l'egoismo che è oblio del prossimo e
sfruttamento di alcuni a danno di altri». Si comincia però sempre dal
nutrire il corpo, come ha fatto Gesù e raccontano i Vangeli. «Le
religioni e la loro tradizione», spiega monsignor Angelo Becciu,
sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato, «ben
conoscono che la libertà dalla fame vuole dire anche libertà dai
conflitti e prevenzione della guerra, come ricorda, nelle Litanie dei
Santi, la Chiesa cattolica associando, nell’invocazione di liberazione,
la malattia e la fame alla guerra: “a peste, fame et bello libera nos,
Domine”». Una “liberazione” che può avvenire solo se il pane è condiviso
e non sprecato e le risorse equamente distribuite. Utopia? No, Vangelo.
«Potrete fare cose più grandi di me». L'ha detto Gesù ai suoi
discepoli. A tavola, guarda caso, durante l'Ultima Cena.