Complicata, ma non troppo. Anche se bisogna convenire che persino gli avvocati, come aveva denunciato due anni fa l’allora promotore di giustizia Nicola Picardi, non sempre conoscono bene le norme che regolano la giustizia vaticana. Una giustizia che si rifà in molte parti al processo italiano. È ancora Zanardelli, infatti, a “dettar legge” in Vaticano. Come stabilisce infatti la Legge sulle fonti del diritto, firmata da Benedetto XVI il primo ottobre 2008, il codice di diritto penale italiano, promulgato nel 1889 e quello di procedura penale – in vigore in Italia dal 1913 al 1930 – sono i testi ai quali attinge il diritto dei tribunali in Vaticano.
Un'ossatura che si è andata via via aggiornando, con le stesse modifiche di Benedetto XVI e con il Motu proprio di papa Francesco datato 11 luglio 2013. Se dunque il processo nel suo complesso resta sostanzialmente uguale, mutano però quegli strumenti che consentono una maggiore cooperazione internazionale soprattutto in vista del controllo del riciclaggio e del terrorismo. Papa Francesco, oltre che abolire l'ergastolo, ha stabilito anche l'introduzione di reati come la tortura e l'apartheid. Ma, soprattutto, ha approvato la Convenzione dei diritti dell'infanzia e ridefinito la categoria dei delitti contro i minori che, dopo il Motu proprio, comprendono la vendita, la prostituzione, l’arruolamento e la violenza sessuale in loro danno; la pedopornografia; la detenzione di materiale pedopornografico; gli atti sessuali con minori.
Gian Piero Milano, avvocato, Promotore di giustizia nello Stato della Città del Vaticano.
Il Papa può intervenire in qualunque momento del processo. Una facoltà di cui si è avvalso ieri, per la prima volta, Francesco.
Di solito, infatti, il Pontefice aspetta la conclusione del processo,
com’è stato, per esempio, con il “maggiordomo” Paolo Gabriele, graziato
da Benedetto XVI, ma solo al termine dell’iter giudiziario. L’azione
giudiziaria viene condotta dal promotore di giustizia, che è attualmente
Gian Piero Milano. Avvocato, professore di diritto canonico ed
ecclesiastico all’università Tor Vergata di Roma, Milano era stato
chiamato all’incarico da papa Francesco 10 mesi fa. Il Promotore di giustizia corrisponde più o meno al nostro pubblico ministero. Anche qui con una eccezione: per i reati meno gravi, infatti, può decidere autonomamente il rinvio a giudizio.
Il Promotore di giustizia, che esercita dunque l’azione penale, è assistito, per le indagini, dalla Gendarmeria vaticana.
Convoca l’imputato, come è avvenuto per l’ex nunzio, per contestargli i
reati di cui è accusato in un colloquio che è a porte chiuse e nel
quale gli avvocati difensori non hanno parola. L’imputato può però
conferire con i suoi avvocati in qualunque momento e può rifiutarsi di
rispondere alle domande. A questa fase “sommaria” segue l’istruttoria
vera e propria con l’intervento, per i reati più gravi, del giudice
istruttore. Ai successivi colloqui possono intervenire gli avvocati.
Tutta questa fase non è pubblica, mentre lo è il dibattimento.
Anche in Vaticano ci sono tre gradi di giudizio: giudice unico o
Tribunale, a seconda dell'entità dei reati, per la prima istanza; Corte
d'Appello; Corte di Cassazione. In caso di custodia cautelare questa
non può superare i 50 giorni, rinnovabili di altri 50 in casi
complessi. Nel caso di condanna a una pena detentiva la Segreteria di
Stato vaticana può chiedere allo Stato italiano che la pena venga
scontata in un carcere italiano, in base alle disposizioni dei Patti
lateranensi.