"Quando il Papa agirà, lo
farà con determinazione. Mi aspetto che, come uno scultore, Francesco studierà la forma e la consistenza del materiale prima di intaccarlo con
decisione con lo scalpello". L’avvocato Jeffrey Lena,
classe 1958, dal suo studio di Berkeley nei pressi dell’Università
della California, sfodera un ottimo italiano appreso fin da quando
studiava giurisprudenza a Milano. Uomo schivo, è reputato una persona
amichevole e informale. Normalmente sta in Vaticano. E’
comune vederlo girare in jeans e sandali per le strade di Roma. In
precedenza docente di storia, è tornato a studiare durante gli anni
novanta per diventare juris doctor.
Durante questi anni, Lena ha difeso il Vaticano in un ampia gamma di
casi intentati contro il Vaticano negli Stati Uniti – accuse di aver
ricevuto proventi di crimini di guerra, casi riciclaggio, e casi di
abusi sessuali. Dal inizio del 2012, ha partecipato nelle riforme del
sistema AML (acronimo di Anti Money Laundering, il progetto internazionale antiriciclaggio).
Di recente ha difeso il principio di libertà di culto presso le corti
d’Appello statunitensi. Numerosi dei suoi casi sono pubblicati e
ritenuti precedenti vincolanti. In passato, Lena ha spiegato che oltre a
difendere la Santa Sede, è nutrito dal desiderio di favorire la
posizione degli “Stati meno potenti” rispetto a quella degli Stati più
potenti, e dal desiderio che la Santa Sede continui ad alzare la voce
per la pace e per favorire una maggior comprensione tra i popoli. Uno
dei progetti che gli sta a cuore riguarda i Musei Vaticani.
Lena vorrebbe dare sostegno particolare al Museo Etnologico per
diffondere una maggior conoscenza di una collezione di oggetti “unici al
mondo” che “testimoniano l’enorme creatività e spiritualità di tutti i
popoli del mondo indipendentemente da provenienza, origine o culto.”
- Lo scorso anno si è verificata nei confronti del
Vaticano una vasta fuga di notizie dal Vaticano, la cosiddetta
“Vatileaks.” Cosa c’è a suo parere dietro questa diffusione di
documenti?
“Innanzitutto vorrei sottolineare che quella fuga
non è stata così “vasta”. In secondo luogo, il furto di informazioni
riservate è un crimine non insolito che tutte le giurisdizioni possono
subire, e generalmente su scala ben più ampia. Il caso è stato
traumatico per un altro motivo: noi tutti abbiamo assistito a un
episodio di profondo tradimento, seguito dalla sua scoperta e punizione,
e dal perdono da parte di che era stato tradito – Papa Benedetto XVI.
Ed è stato proprio questa serie di eventi, non il contenuto dei
documenti, a colpire il pubblico così profondamente. Per
capire cosa sia realmente accaduto, bisogna semplicemente ripercorrere
le udienze del Tribunale Vaticano, il quale ha esaminato con dovuta
attenzione le prove e ha determinato che l’aiutante di camera del Papa
agiva per ragioni proprie, e motivato da uno slancio personale di
“purificazione”. Ciò è stato difficile da accettare per alcuni
giornalisti che ritenevano quella spiegazione troppo banale. Purtroppo
lo scrivere su questioni di Chiesa è talvolta appesantito da una
“dietrologia” che non corrisponde alla realtà. A volte le cose possono
anche essere più semplici. Come in questo caso. Per me, la cosa
interessante è che la fuga di notizie ha funzionato come una sorta di
“Rorschach test” (quel test psicologico utilizzato per registrare le
diverse interpretazioni che i pazienti danno alle macchie d’inchiostro).
Alcuni commentatori tendevano a leggere negli avvenimenti quel che
volevano trovarci, utilizzando l’episodio per alimentare i loro progetti
di riforma per la Curia”.
- Come hanno reagito in Curia?
“È interessante paragonare ciò che ho visto in
Curia in quel periodo (ero presente quotidianamente) rispetto a quanto
lo scenario diffuso dai media. Mentre la stampa raccontava di un “caos
in Curia”, ho assistito al contrario: superiori che rinnovavano la
fiducia ai propri collaboratori, incoraggiandoli a mantenere un
contegno. Naturalmente esisteva un ragionevole livello di
preoccupazione: le dimensioni del problema dovevano essere capite e
intanto, la pressione dei mezzi d’informazione è stata intensa. Ciò
nonostante, la Curia ha tenuto la testa alta. Non ho assistito ad alcun
“caos” o “effetto panico”. Posso anche aggiungere che, con l’arresto del
colpevole, non lo hanno trattato come un capro espiratorio. Invece, si
sono sforzati di capire a fondo cosa era realmente successo”.
- E quali saranno le conseguenze di questi eventi?
“Anche se comprendo la preoccupazione della gente che leggeva la
marea di parole generata da questi avvenimenti, prevedo che quando gli
storici guarderanno indietro, il loro interesse sarà non tanto sugli
avvenimenti stessi, quanto la loro strumentalizzazione”.
- Al centro delle campagne giudiziarie contro il Vaticano c'è
spesso lo IOR, accusato di essere una centrale di riciclaggio off-shore
e di rifiutare di aderire ai processi internazionali di trasparenza.
Cosa c'è di vero?
“E’ una domanda che tocca molti temi. Innanzi tutto,
sarebbe scorretto entrare in questioni giudiziarie, anche perché da un
po’ di tempo non fornisco consulenza legale allo IOR (ma continuo a
seguire le questioni assegnatemi dalla Santa Sede). Inoltre parlare di
una “campagna giudiziaria” è scorretto a mio avviso nei confronti della
magistratura italiana. Io spero solo che arriverà presto il momento in
cui saranno superati gli stereotipi che troppo frequentemente
influenzano questo genere di discorso. Ritengo un
insulto il termine “centrale di riciclaggio”. Sono sicuro che il Papa
Francesco, come il suo predecessore, non tollererà attività illecite. Il
concetto di un Vaticano “off-shore” è a dir poco offensivo. E va
ricordato che sul piano internazionale la Santa Sede collabora nelle
modalità previste dai trattati che regolano le rogatorie internazionali,
fatto riconosciuto da Moneyval ma spesso riportato in modo diverso dai
media. E’ bene ricordare che la realizzazione di un
solido sistema di ispezione di cui i partner internazionali possano
fidarsi è in corso e mi auguro che nel prossimo futuro vedremo ulteriori
miglioramenti al sistema antiriciclaggio. Aggiungo che esiste una
percezione sbagliata che le riforme riguardano solo lo IOR. Le riforme
necessarie riguardano anche AIF, quale Autorità competente e garante sul
piano operativo della correttezza del sistema interno AML. I valutatori
del Moneyval torneranno in Vaticano a fine anno per dare il loro parere
su i passi compiuti nel corso di quest’anno”.
- Dagli Stati Uniti sono partite spesso cause
e addirittura ‘class action’ contro il Vaticano riguardanti le più
disparate questioni -- dal processo per il tesoro degli Ustascia agli
casi di pedofilia. C’è persino chi ha chiesto di mettere sotto accusa il
Papa. Come si sono risolti questi processi?
“In questi anni ho trattato diversi casi per conto della Santa Sede, i
suoi organi e perfino per Papa Benedetto XVI. Quando si tratta di
questi casi, prima di tutto è doveroso tenere in mente che ci sono
vittime che hanno sofferto terribilmente. Questi non sono fantasmi
inventati per screditare la Chiesa. Ma è altresì vero che le persone che
sfruttano le sofferenze delle vittime per screditare la Chiesa non
danno contributo alla ricerca di soluzioni autentiche. La soluzione sta
in un onesta collaborazione basata su una Chiesa che riconosce i
problemi dove esistono, ma ci vuole anche che chi continua a criticare
duramente la Chiesa riconosce che ci sono molti esempi in cui la Chiesa
si è diventata esemplare nella lotta contro questi crimini.
Inoltre è inutile parlare solo della Chiesa quando ormai si sa bene
dalle statistiche elaborate in questi anni che il problema esiste
altretanto nelle scuole pubbliche, negli ospedali, e persino all’interno
delle famiglie. Insomma “il coraggio di riconoscere il problema” non è
un dovere nei confronti solo alla Chiesa. Tornando alla questione delle
cause intentate, accenno che bisogna distinguere tra processi contro le
Diocesi (e anche enti religiosi) e i processi contro la Santa Sede che
si trova spesso trascinata in cause in cui non c’entra nulla. Tali casi
dimostrano la differenza tra mere accuse e prove concrete: Infatti,
fin’ora nelle cause intentate contro la Santa Sede per questioni di
abusi, dopo il deposito della prove in tribunale, i capi di accusa si
sono sgretolati. Per esempio, nel caso Doe v. Holy See,
intentato nel 2003, il giudice, dopo aver esaminato i fatti, ha
riscontrato una totale mancanza di fondamento per le accuse che la Santa
Sede doveva essere ritenuta responsabile, e lo ha archiviato. Lo stesso
vale per le cause intentate una decina di anni fa basate sull’accusa
che è stato ricevuto in Vaticano valuta derivata dalle depredazioni
compiute dai fascisti in Croazia durante la seconda guerra mondiale.
Alla fine, anche in questi casi, i capi d’accusa sono stati respinti dal
giudice per un semplice motivo: i querelanti non avevano prove che
dimostrassero che le depredazioni disumane degli ustasha (quale regime
fascista che dominava la Croazia allora) sono mai arrivati in Vaticano.
Posso aggiungere che facendo un indagine dei fatti per preparare la
difesa non ho trovato prove delle teorie cospiratorie sulla quali queste
cause erano basate. In fine, è interessante notare che tutte queste
cause sono unite da un singolo filo conduttore: sono sempre ispirati
dall’idea largamente diffusa che “tutto è controllato da Roma”. E’ un
idea che non ha riscontro nella struttura autentica e reale della Chiesa
cattolica né nel principio di sussidarietà che la guida. Infatti il
principio di comunione gerarchica che unisce il Papa agli altri vescovi
non è un semplice “potere di commando” come spesso ipotizzato. Questo
errore fondamentale, insieme ad altri, sono alla base delle cause
temerarie finora intentate contro la Santa Sede o il Vaticano”.
- Guardando al futuro, come ci si aspetta che la questione degli abusi sessuali sarà gestita dalla Chiesa Cattolica?
“Insistere sul fatto che la Santa Sede non sia stata
responsabile è ben diverso dall’affermare che non debba agire da
protagonista nell’affrontare il problema. Infatti gioca, e credo che
giocherà, un ruolo importante nell’aiutare le diocesi e gli istituti
religiosi coinvolti a trovare soluzioni per individuare i colpevoli -
quelli che Benedetto XVI ha definito “criminali inqualificabili” e la
“vergogna” della Chiesa – e per rafforzare ulteriormente i sistemi di
prevenzione. Di fatto, la Santa Sede ha già preso
diversi provvedimenti, tra i quali richiedere nel 2010 che ciascuna
conferenza episcopale sviluppasse delle linee guida per favorire la
protezione dei minori e tali requisiti stanno cominciando a dare i loro
frutti. Immagino che l’eventuale adozione di ulteriori misure saranno
prese in considerazione in futuro. Ciò che è importante
adesso è guardare in prospettiva: quello che conta sia nella Chiesa sia
nella società in generale è di assicurare la protezione delle persone
più vulnerabili. E ora questo è possibile. Capendo
meglio quanto accaduto in passato si può cogliere meglio la natura del
problema. Proprio perché i fedeli hanno sofferto a causa di questo
flagello, la Chiesa a tutti i livelli può finalmente condurre una vera
la lotta in quest’ambito. Per me ciò significa considerare il dovere di
prevenire gli abusi come una questione di giustizia sociale. A questo
riguardo, pur tenendo conto delle peculiarità delle varie regioni del
mondo, penso che la Chiesa statunitense, e non solo, abbia molto da
offrire, dato anche che i loro programmi di prevenzione degli abusi
stanno funzionando. Infatti dopo anni difficili, le famiglie iniziano a
recuperare un nuovo senso di sicurezza. Infatti, una delle ragioni di
questo successo è la piena partecipazione dei parrocchiani nel gestire
direttamente pratiche e procedure di protezione dei minori. Si dovrebbe
puntare maggiormente sui miglioramenti di sistemi di protezione al
livello parrocchiale, invitando la piena partecipazione dei
parrocchiani. E’ un modello che merita di essere diffuso a mio avviso.
- Secondo Lei, cosa cambierà sotto la guida di Papa Francesco?
“Mi sembra prematuro parlarne. Ogni Papa che prende
in mano il timone di Pietro permea il pontificato con le sue qualità
personali, ma allo stesso tempo viene egli stesso formato ulteriormente
dall’esperienza unica della responsabilità di governo della Chiesa
universale. Tale dialettica tra uomo e Ufficio aiuta a mantenere la
Chiesa in sintonia con i tempi ma al contempo affonda le sue radici
nella tradizione. Il Papa ci incoraggia poi a non essere
“autoreferenziali”. Per me vuol dire non permettere alle istituzioni
della Chiesa di diventare i confini della Chiesa stessa.
Alcuni hanno letto le parole di Sua Santità come una prospettiva
“nuova”, ma a me sembra invece un richiamo al cuore della visione
cattolica: un esempio di come l’evangelizzazione, al centro della
tradizione, possa contenere nuove dimensioni. Secondo me, il sostegno
più importante da offrire al Santo Padre è lasciargli il tempo e la
serenità per consultare e riflettere, libero dal peso di aspettative
frettolose. Quando il Papa agirà lo farà con
determinazione. Mi aspetto che, come uno scultore, Papa Francesco
studierà la forma e consistenza del materiale prima di intaccarlo con
decisione con lo scalpello”.