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Vedi Napoli e... scopri l'Italia

24/06/2010  Antonia Arslan legge per noi "Una certa idea di Napoli" di Antonio Ghirelli.

La scrittirce Antonia Arslan commenta il libro di Ghirelli.
La scrittirce Antonia Arslan commenta il libro di Ghirelli.

Ho sempre amato Napoli, e per molti anni ogni tanto ci andavo da sola per un paio di giorni, magari a novembre per i presepi, o a maggio; e l’ho sempre attraversata in lunghissime camminate a piedi, nelle sue infinite stratificazioni, di catacombe e di grandi palazzi, di splendida capitale e di porto mediterraneo, di solarità e di oscurità. Tutto coesiste, a Napoli; e tutto conserva ancora una sua vitalità profonda e selvaggia, un’irriducibile identità, che riemerge nelle catastrofi naturali e umane che regolarmente la colpiscono: epidemie, guerre, o le eruzioni del vulcano che ne è l’emblema, e che da più di sessant’anni resta minacciosamente silenzioso.
 
Ma tutto è anche occasione di scrittura e di spettacolo, di quella teatralità originale e vigorosa, in cui il riso – amaro ma potente – si innesta su una sempre rinnovata percezione della tragicità dell’esistenza. Il resto d’Italia assiste alle “sceneggiate napoletane”, con riluttante e scandalizzata ammirazione.

Antonio Ghirelli della sua città è un cantore, ma – si potrebbe dire – postmoderno: cioè la ama, incondizionatamente, ma cerca di evitare le trappole del folclore più abusato e si sforza di cogliere con equilibrio le ragioni dell’attuale situazione di profonda crisi, senza vittimismi o scappatoie retoriche. E tuttavia, da ogni pagina di Una certa idea di Napoli (Mondadori), questo libro innamorato e sofferto, affiora, ancora una volta, l’incanto della città: ammaliante e ambigua, amichevole e beffarda, sfruttata e sfruttatrice. Viene raccontata la sua storia regale e antichissima; sfilano, per una volta nella giusta luce, i grandi personaggi che le hanno dato originalità e spessore culturale; ma viene dato un particolare e significativo rilievo a quella che è stata forse l'ultima grande stagione della cultura napoletana, che Antonio Ghirelli ricorda come la Belle Époque.
 
Accade allora, e accade a Napoli, l'invenzione del moderno giornalismo d’assalto, con la grande coppia Matilde Serao- Edoardo Scarfoglio e i famosi articoli di Matilde, Il ventre di Napoli, reportage dai giorni del colera; al tempo stesso trova modo di esprimersi anche la felice stagione della canzone e del teatro napoletani, Eduardo Scarpetta, i tre De Filippo, Pupella Maggio, quel “verace specchio d’Italia” in cui tutti noi finimmo per identificarci.

 
 
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