Una liturgia semplificata così come aveva voluto già lo scorso anno. La veglia pasquale, cominciata con la consueta benedizione del fuoco, dura due ore e mezza nella basilica di San Pietro.
Nel corso della messa il Papa amministra i sacramenti dell'iniziazione cristiana (battesimo, cresima e comunione) anche dieci catecumeni, cinque italiani e cinque da Libano, Francia, Bielorussia, Senegal e Vietnam.
Nell'omelia papa Francesco sprona a tornare in Galilea, il luogo del nostro battesimo, il luogo della nostra prima chiamata. «Dov'è la nostra Galilea, dobbiamo chiederci», dice ai numerosissimi fedeli presenti in basilica. E spiega che il «Vangelo della risurrezione di Gesù Cristo incomincia con il cammino delle donne verso
il sepolcro, all’alba del giorno dopo il sabato». Un angelo dice loro di andare ad avvisare i discepoli e di dire loro che il Cristo risorto li precede in Galilea. Due sono le cose importanti: il non temere che Dio rivolge a noi e il tornare in Galilea, al primo incontro con Cristo. Prima l'angelo e poi Cristo stesso lungo la strada dicono alle donne: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno».
«Là mi vedranno, non abbiate paura, non temete. Una voce che incoraggia per ricevere questo annuncio», spiega Francesco.
«La Galilea è il luogo della prima chiamata, dove tutto era iniziato! Tornare al posto della prima chiamata tornare là vuol dire rileggere tutto a partire dalla croce e dalla vittoria. Senza paura, non temere. Ma rileggere
tutto – la predicazione, i miracoli, la nuova comunità, gli entusiasmi e le defezioni, fino al
tradimento – rileggere tutto a partire dalla fine, che è un nuovo inizio, da questo supremo atto
d’amore».
E per ciascuno di noi c'è una Galilea. Il Papa sprona a cercarla, a ricordarla. «Andare in
Galilea significa qualcosa di bello, significa per noi riscoprire il nostro Battesimo come sorgente
viva, attingere energia nuova alla radice della nostra fede e della nostra esperienza cristiana.
Tornare in Galilea significa anzitutto tornare lì, a quel punto incandescente in cui la Grazia di
Dio mi ha toccato all’inizio del cammino. Da quella
scintilla si accende una gioia umile, una gioia che non offende il dolore e la disperazione, una
gioia buona, una gioia mite.
Nella vita del cristiano, dopo il Battesimo, c’è anche un'altra Galilea, una “Galilea” più esistenziale:
l’esperienza dell’incontro personale con Gesù Cristo, che mi ha chiamato a seguirlo e a
partecipare alla sua missione. In questo senso, tornare in Galilea significa custodire nel cuore la
memoria viva di questa chiamata, quando Gesù è passato sulla mia strada, mi ha guardato con
misericordia, mi ha chiesto di seguirlo».
Ma ci ricordiamo del momento in cui gli occhi di Gesù si sono incrociati con i nostri? «Il momento in cui mi ha fatto sentire che mi amava?
Oggi, in questa notte, ognuno di noi può domandarsi: qual è la mia Galilea? Fare memoria, andare indietro col ricordo. Dov’è la mia
Galilea? La ricordo? L’ho dimenticata? Cercala e la troverai, là ti aspetta il Signore».
E se anche l'abbiamo dimenticata, il Papa ci sprona a cercarla, a chiedere al Signore qual è la nostra Galilea per tornarci e farci abbracciare da Lui. «Non avete paura, non temete, tornate in Galilea», conclude papa Francesco, perché «il Vangelo è chiaro, bisogna ritornare là, per vedere Gesù risorto, e diventare
testimoni della sua risurrezione. Non è un ritorno indietro, non è una nostalgia. E’ ritornare al
primo amore, per ricevere il fuoco che Gesù ha acceso nel mondo, e portarlo a tutti, sino ai
confini della terra. Tornare in Galilea senza paura».
Un invito che ripete a braccio anche alla fine della messa: «Vi auguro santa e buona Pasqua. E non aver paura di tornare in Galilea».