Dio non abita nell’angoscia, nelle tenebre, il Signore non è nella rassegnazione. Papa Francesco, nella veglia di Pasqua nel corso della quale ha amministrato i sacramenti dell’iniziazione cristiana a otto neofiti provenienti da Italia, Albania, Ecuador, Indonesia e Perù, ha spiegato il senso delle parole «perché cercate tra i morti Colui che è vivo?» che l’angelo rivolge alle donne arrivate al sepolcro per portare aromi a Gesù, ma temendo «che il tragitto sia inutile perché una grossa pietra sbarra l’ingresso del sepolcro. Il cammino di quelle donne è anche il nostro cammino», ricorda il Papa, «assomiglia al cammino della salvezza, che abbiamo ripercorso stasera. In esso sembra che tutto vada a infrangersi contro una pietra: la bellezza della creazione contro il dramma del peccato; la liberazione dalla schiavitù contro l’infedeltà all’Alleanza; le promesse dei profeti contro la triste indifferenza del popolo. Così pure nella storia della Chiesa e nella storia di ciascuno di noi: sembra che i passi compiuti non giungano mai alla meta. Può così insinuarsi l’idea che la frustrazione della speranza sia la legge oscura della vita».

Ma «una frase scuote le donne e cambia la storia: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?”; perché pensate che sia tutto inutile, che nessuno possa rimuovere le vostre pietre? Perché cedete alla rassegnazione e al fallimento? Pasqua, fratelli e sorelle, è la festa della rimozione delle pietre. Dio rimuove le pietre più dure, contro cui vanno a schiantarsi speranze e aspettative: la morte, il peccato, la paura, la mondanità». La nostra vita non sbatte contro una pietra sepolcrale anche quando «siamo tentati di giudicare tutto sulla base dei nostri insuccessi» e delle nostre delusioni. Bergoglio invita ciascuno a dare un nome alle nostre pietre, a capire cosa c’è da rimuovere. «Spesso», sottolinea, «a ostruire la speranza è la pietra della sfiducia. Quando si fa spazio l’idea che tutto va male e che al peggio non c’è mai fine, rassegnati arriviamo a credere che la morte sia più forte della vita e diventiamo cinici e beffardi, portatori di malsano scoraggiamento. Pietra su pietra costruiamo dentro di noi un monumento all’insoddisfazione, il sepolcro della speranza».

Francesco parla di una «psicologia del sepolcro» quando pensiamo che «ogni cosa finisce lì, senza speranza di uscirne viva. Ecco però la domanda sferzante di Pasqua: Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Il Signore non abita nella rassegnazione. È risorto, non è lì; non cercarlo dove non lo troverai mai: non è Dio dei morti, ma dei viventi. Non seppellire la speranza!».

E dopo la pietra della sfiducia c’è la pietra del peccato, che seduce, che promette benessere e successo «ma poi lascia dentro solitudine e morte. Il peccato è cercare la vita tra i morti, il senso della vita nelle cose che passano». Perché, chiede Francesco, « ai luccicanti bagliori del denaro, della carriera, dell’orgoglio e del piacere non anteponi Gesù, la luce vera? Perché non dici alle vanità mondane che non è per loro che vivi, ma per il Signore della vita?».E ancora c’è la pietra della paura, che ci fa rintanare in noi stessi, «accovacciati nei nostri limiti». «È strano: perché lo facciamo? Spesso perché nella chiusura e nella tristezza siamo noi i protagonisti, perché è più facile rimanere soli nelle stanze buie del cuore che aprirci al Signore. Eppure solo Lui rialza».

Dio, insiste Francesco, «ci chiede di guardare la vita come la guarda Lui, che vede sempre in ciascuno di noi un nucleo insopprimibile di bellezza. Nel peccato, vede figli da rialzare; nella morte, fratelli da risuscitare; nella desolazione, cuori da consolare. Non temere, dunque: il Signore ama questa tua vita, anche quando hai paura di guardarla e prenderla in mano». In particolare «a Pasqua ti mostra quanto la ama: al punto da attraversarla tutta, da provare l’angoscia, l’abbandono, la morte e gli inferi per uscirne vittorioso e dirti: “Non sei solo, confida in me!”. Gesù è specialista nel trasformare le nostre morti in vita, i nostri lamenti in danza».

Per questo non dobbiamo rimanere a terra, non dobbiamo cedere alla paura e alle delusioni perché il Signore ci dice che «siamo sempre amati e che nonostante tutto quello che possiamo combinare il suo amore non cambia. Questa è la certezza non negoziabile della vita: il suo amore non cambia».

E allora anche noi non dobbiamo contemplare ambienti sepolcrali, ma «cercare il Vivente». Le donne corse al sepolcro, che «avevano dimenticato la speranza perché non ricordavano le parole di Gesù, la sua chiamata avvenuta in Galilea» restano a guardare la pietra rotolata. Hanno bisogno di ricordare la chiamata di Gesù, «di ricordarlo, cioè, letteralmente, di ritornare col cuore a Lui. Ritornare a un amore vivo col Signore è essenziale, altrimenti si ha una fede da museo, non la fede pasquale». E Gesù non è un personaggio da museo, ma una «Persona vivente oggi; non si conosce sui libri di storia, s’incontra nella vita».

E le donne che lasciano il sepolcro ci ricordano che «il credente si ferma poco al cimitero, perché è chiamato a camminare incontro al Vivente. Chiediamoci: nella vita, verso dove cammino? A volte ci dirigiamo sempre e solo verso i nostri problemi, che non mancano mai, e andiamo dal Signore solo perché ci aiuti. Ma allora sono i nostri bisogni, non Gesù, a orientarci. Ed è sempre un cercare il Vivente tra i morti. Quante volte, poi, dopo aver incontrato il Signore, ritorniamo tra i morti, aggirandoci dentro di noi a rivangare rimpianti, rimorsi, ferite e insoddisfazioni, senza lasciare che il Risorto ci trasformi». Al Signore, invece, al «Vivente» va dato «il posto centrale nella vita». Per non «farci trasportare dalla corrente, dal mare dei problemi», per non «infrangerci sulle pietre del peccato e sugli scogli della sfiducia e della paura», ma per risorgere con Lui.