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lunedì 11 novembre 2024
 
 

Diffenbaugh: «Io, madre adottiva»

09/01/2012  L'autrice, divenuta celebre con il best-seller "Il linguaggio segreto dei fiori", racconta la sua esperienza accanto ai bambini disagiati: «Il loro futuro è nelle nostre mani».

Vanessa Diffenbaugh, cresciuta in una cittadina rurale del nord della California “tra piantagioni di riso, con tantissima terra intorno”, ha il viso di una ragazzina, ma a soli 33 anni ha già vissuto tanto come madre, donna e scrittrice. Il suo primo romanzo, Il linguaggio segreto dei fiori (Garzanti), è stato un vero caso letterario: tradotto in più di trenta Paesi a suon di aste milionarie, ha stregato i lettori con le vicende di Victoria, adolescente disadattata che dopo un’infanzia passata da una famiglia affidataria all’altra, trova lavoro a San Francisco in un negozio di fiori.

Non una fioraia qualunque, però: come nessun altro Victoria conosce il linguaggio dei fiori: secondo una tradizione di epoca vittoriana, a ogni fiore corrisponde un significato preciso, dall’amore della rosa rossa, all’infedeltà di quella gialla. Dal buonumore della stella di Natale, alla “buona salute e lungavita” della salvia, Victoria offre ai suoi clienti, e restituisce ai fiori, il loro più profondo significato simbolico: non solo splendidi ornamenti ma veicolo di emozioni.

La storia di Victoria viene dalle vicende personali della scrittrice: la Diffenbaugh fin da adolescente si è occupata di bambini in difficoltà. Poco prima di finire il college si prendeva cura nei fine settimana di quattro bambine la cui madre aveva problemi di droga. Un’esperienza che la cambiò per sempre, spingendola a dedicarsi ai bambini in affido: il primo, Tre’von, le fu affidato mentre era incinta della sua prima figlia naturale. Era scappato dal padre violento, senza niente, neppure le scarpe ai piedi: ora è al college.

«Ho imparato molto da questi bambini. Ma anche dalla mia esperienza come figlia: rispetto molto mia madre perchè ha cercato con forza e impegno di essere una madre migliore rispetto alla sua», racconta la scrittrice.

Hai fondato anche un’associazione no-profit, Camelia Network, una community on line per aiutare ragazzi senza famiglia a ricevere aiuto. In cosa consiste?
«La camelia significa “il mio destino è nelle tue mani”. Perché il destino di questi bambini è nelle nostre mani, ma è vero anche il contrario: il futuro della nostra società è nelle loro mani. Sul sito di Camelia Network ci sono i profili di ragazzi in difficoltà, a cui si possono fare donazioni pubbliche. Ma vogliamo andare oltre i bisogni materiali: lavoriamo con le famiglie per far capire loro le esigenze dei bambini in termini di formazione e istruzione. Agire da soli è difficile, si può essere sopraffatti da bambini “difficili” come Victoria, ma aiutati da una comunità ci sono maggiori possibilità di successo».

Quali sono le sfide di essere madre affidataria?
«Le stesse di una madre biologica: dare la vita a un altro essere umano, vederlo crescere e imparare. Sembra ovvio, ma bisogna avere un desiderio autentico di fare i genitori. Poi, i genitori adottivi devono capire che i figli in affido li metteranno alla prova. È indispensabile accettare di non essere perfetti e perdonarsi quando si fa un errore. Ma continuare a provare, perché i bambini non vogliono persone perfette, ma qualcuno che non rinunci a loro».

Che rapporto c’è tra i tuoi figli biologici e Tre’von?
«Mia figlia naturale aveva pochi mesi quando è arrivato Tre’von, che aveva 14 anni. Poi è nato Miles, l’altro nostro figlio naturale ed è arrivato un altro adolescente che è rimasto da noi un anno. Bambini e adolescenti vivono in mondi sperati, e questo è stato un vantaggio: per i miei figli naturali gli altri ci sono sempre stati».

Da dove viene il tuo amore per i fiori?

«Sono cresciuta in una cittadina rurale del Nord della California. Il giardino di mia madre era molto selvaggio, ma di proposito: le piaceva perdersi nella natura. Avevamo mezzo acro di terra, ma camminando in quel giardino sembrava di essere in un altro mondo, mi piaceva stare sola a scrivere il mio diario circondata dai fiori. Poi a 16 anni ho scoperto Il linguaggio dei fiori di Kate Greenaway, un piccolo dizionario illustrato di epoca vittoriana che ho adorato da subito. I fiori sono da sempre un simbolo, basti pensare al loto o al giglio. E anche oggi, nonostante la tecnologia ci permetta di comunicare velocemente e costantemente, continuiamo a usare i fiori per nascite, morti, matrimoni: i momenti importanti della vita». 

Come spieghi il successo del libro?
«La cosa interessante di essere una scrittrice nell’era dei social network è che si hanno contatti diretti col lettore: ho tanti fan su Facebook, di cui tre mila italiani, che spesso mi scrivono. A molti piace il romanticismo legato ai fiori, in un’epoca dominata dalla tecnologia. E l’idea della lotta di Victoria, di riuscire a superare le difficoltà della vita».

Te lo aspettavi?
«Assolutamente no! Sono cresciuta in una cittadina e non avevo mai pensato al successo. Non pensavo potesse essere possibile vedere il mio libro tradotto in tutto il mondo».

Il tuo libro diventerà un film: chi vorresti vedere nei panni di Victoria?
«La sceneggiatrice, Jenny Lumet (figlia del celebre regista Sidney Lumet, ndr), si è esaltata per il progetto e sta scrivendo la sceneggiatura. Sarà pronta tra sei mesi, poi penseremo agli attori. Non saprei a chi dare la parte di Victoria, ma non avrò molta voce in capitolo. I produttori vorrebbero che fosse un grande successo al botteghino, con superstar come Julia Roberts. Un fiore per questo periodo della tua vita? Ne servirebbe uno per l’avventura, ma temo di non conoscerne nessuno!

 
 
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