Molto di più di un semplice scudetto nel campionato di basket italiano. Quello vinto l’altra sera a Trento, dalla Reyer Venezia, in gara sei, è il ruggito del leone di San Marco che vuol dire al mondo che Venezia è ancora viva; che la città non è ancora in coma irreversibile, come l’avevano diagnosticata molti bollettini medici. Anzi, Venezia, nonostante tutto, sa ancora vincere. Almeno sportivamente parlando. A dimostrarlo è questo inatteso 2017 che in città sarà ricordato come l’anno del “triplete in laguna”.
Tutto in soli trenta giorni: prima è arrivata la promozione del Venezia Calcio, con la squadra guidata da Pippo Inzaghi che ha conquistato la serie B, dopo 12 lunghi anni di purgatorio nelle serie inferiori; pochi giorni dopo anche il Calcio Mestre veniva promosso in Lega Pro; quindi la vittoria di martedì scorso, la più importante, che ha regalato lo scudetto alla Reyer del “patron” e sindaco di Venezia Luigi Brugnaro. Un titolo che la società orogranata aveva vinto nei lontanissimi 1942 e 1943. Praticamente un’era geologica fa. Un titolo vinto non a caso, ma frutto di una programmazione societaria, impostata da anni.
La notte che tutti i tifosi sognavano, è finalmente arrivata, ed è esplosa la festa in Piazza Ferretto e al palazzetto. E dopo i cori e le danze, adesso si spera che anche un “giorno nuovo” inizi. A partire proprio dal settore sportivo e dagli impianti. Si diceva Venezia vincente, nonostante tutto. Nonostante un palazzetto, il “Taliercio”, che già il prossimo anno non sarà più a norma per i playoff; vincente nonostante uno stadio di calcio, Il “Penzo” di Venezia, che fu edificato nel lontanissimo 1913, quando lo scudetto lo vincevano squadre come la Pro Vercelli; vincente nonostante il Calcio Mestre sia costretto a giocare a Portogruaro, perché il vecchio stadio “Baracca” non ha gli standard previsti. La speranza è che finalmente, trascinata dai successi, la città, società sportive e amministrazione in testa, si doti di impianti all’altezza di Venezia e dei campionati a cui sono iscritte le sue squadre.
Attanagliata da mille e uno problemi, la città della Serenissima, sembra aver perso da tempo la sua serenità, e da tempo non dà segnali di reazione e vitalità. Quelle straordinarie foto di Mario Berengo Gardin, con l’enorme sagoma di una nave da crociera che incombe sulla città che, a confronto sembra Lilliput, riassume il difficile momento di colei che un tempo era regina dell’Adriatico, ed è diventata metafora di tutte le minacce che incombono sulla fragile capitale lagunare.
Svuotata da un irresistibile declino demografico che ha ridotto ormai il Centro Storico a poco più di 54 mila residenti, la metà di quarant’anni fa, neanche un terzo degli anni ’60, Venezia altresì, è invasa dalle “alte maree” di turisti che la invadono come e più dell’acqua alta. Venti milioni di turisti l’anno che assaltano le nobili “pietre” del Centro Storico rappresentano una “ricchezza straordinaria”, ma al tempo stesso pongono un serio problema di organizzazione di servizi idonei, con annessi costi, col rischio sempre dietro l’angolo di “museizzare” la città, o di chiuderla per overbooking. La mono-industria del turismo, che come ricordava Marco Paolini è “l’industria pesante” del nostro tempo, tanto paventata a parole da tutti, è già nei fatti, se in città c’è un B&B ogni 55 residenti; e poi ancora il “Mose” con gli scandali ad esso riconducibili, e che ha finito per drenare tutte le risorse della Legge Speciale; il difficile rapporto con la Terraferma, che per l’ennesima volta chiede di staccarsi dalla “madre matrigna” con l’ennesimo, inutile, referendum; il mancato rilancio della zona industriale di Marghera, che avrebbe dovuto trasformare i dismessi padiglioni da archeologia industriale in “new economy”, o meglio, come l’ex-sindaco Massimo Cacciari amava dire, luoghi della “produzione immateriale”, ma che di immateriale, per ora, ha visto solo il risultato.
E allora, anche se una vittoria sportiva non cancella la complessità delle questioni che stagnano in laguna, un successo di squadra è uno squillo di tromba, un segnale beneaugurante per le prossime difficili “partite” che si giocheranno nei campi più ostici della politica e dell’economia cittadine.
Per una volta a Venezia, sul ponte non sventola “bandiera bianca”, ma ruggisce il leone di San Marco.