E così anche Venezia, la roccaforte storica del centrosinistra veneto è capitolata. Dopo 23 anni di giunte rosse, la città è stata invasa dal color fucsia (il colore della lista vincente). L’imprenditore Luigi Brugnaro, ha saputo ribaltare il risultato del primo turno che lo vedeva sotto di quasi nove punti percentuali sul candidato del Pd l’ex-magistrato Felice Casson. La sfida è finita 53 a 47 per cento, in rimonta per il patron dell’Umana Reyer, la locale squadra di basket di serie A.
Gli osservatori più attenti avevano ipotizzato che, qualora Brugnaro fosse riuscito ad andare al ballottaggio, avrebbe avuto buone chances di vittoria, potendo garantirsi i voti della Lega e della altre liste di centrodestra che al primo turno correvano da sole. E così è stato. E invece non è bastato il “richiamo alle armi”, peraltro poco convinto, lanciato in questi ultimi giorni dal Pd lagunare. Ad incidere sono stati i tanti voti non arrivati dai 5Stelle (erano stati in 15 mila a votare, al primo turno, per il movimento di Grillo pari al 12%), ma forse ancor più ad affondare definitivamente il vascello del centro-sinistra i tanti veneziani che non sono andati alle urne: più di uno su due! Non ha risposto neppure la roccaforte operaia di Marghera dove Brugnaro ha strappato moltissimi consensi.
La pesantissima sconfitta del Pd ha del clamoroso certo, ma solo se si ignorano le ultime vicende di questa città e di chi l’ha retta negli ultimi anni. E’ stato l’epilogo di una lenta agonia. Quella dei tanti governi lagunari di centro sinistra, l’ultimo dei quali s’è arenato nelle secche della laguna, anzi davanti alle bocche di porto, tirato a fondo dal peso dei cassoni mobili del Mose e dagli scandali ad esso legati. Più o meno un anno fa, infatti, cadeva la giunta guidata dal sindaco Pd Giorgio Orsoni, travolta dallo scandalo delle tangenti del Mose, che ha visto il Comune costretto al commissariamento. E pensare che nel 2005, il centrosinistra poteva permettersi il lusso di mandare al ballottaggio due candidati: Massimo Cacciari, che poi avrebbe vinto per un soffio, proprio su Felice Casson, a questo punto “eterno secondo”. Sembrano passati anni luce. In meno di un decennio il Pd è riuscito a dilapidare un patrimonio di consensi che non aveva pari in altri capoluoghi italiani, se si eccettuano forse Firenze e Bologna.
Ad approfittarne è stato il “volto nuovo”, o quasi, di Brugnaro, già noto in città perché presidente degli industriali locali, e sceso in campo soltanto tre mesi fa. Una macchina elettorale perfetta la sua, sebbene assai dispendiosa, all’insegna di poche ma efficaci parole d’ordine: “voltare pagina” per scrivere una nuova storia della città, a partire dal rilancio definito un po’ pomposamente “Rinascimento” di Mestre, mettendo a disposizione l’esperienza d’imprenditore. Cosa già sentita quest’ultima, ma che fa sempre effetto da queste parti. E poi tanta insistenza sulla sicurezza dei cittadini e l’immagine di uomo né di destra né di sinistra. E, infine, uno slogan ripreso dalla tifoseria reyerina: “Ghea podemo far!”. Risultato? Canestro vincente al suono della sirena.