Marco Bellocchio. In alto: una scena di "Sangue del mio sangue".
Nel 2006 Marco Bellocchio firma Sorelle, il suo penultimo film nel paese natio del piacentino. In mezzo seguono Vincere e La bella addormentata, due opere sofferte e ancorate alla storia del nostro Paese. Bobbio ritorna nella terza opera italiana in concorso alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia come una musa ancora carica di molte cose da dire. La gestazione di Sangue del mio sangue, che recupera l’iter già sperimentato con Sorelle, dilata un precedente cortometraggio nato nell’ambito dei corsi di cinema ospitati proprio dal piccolo comune e a cui Bellocchio ha sempre dato un appassionato contributo.
Il corto La monaca con protagonista Lidia Liberman risale ancora a sei anni fa e venne ambientato nelle prigioni di Bobbio, per molto tempo chiuse e abbondonate. Questo sito archeologico diviene luogo di raccordo delle due anime del film al presente e al passato: le prigioni sono il simbolo attorno a cui bussa tutto il film attraverso la figura eterna di Federico Mai interpretato dal figlio Pier Giorgio Bellocchio.
Con un viaggio nel tempo il maestro di Buongiorno, notte e Il regista di matrimoni opera lo smantellamento di uno spazio chiuso e buio che vive ormai di regole asfittiche. La regia accarezza il disagio del sentirsi fuori tempo di fronte a novità che faranno il possibile per scardinare l’ordine costituito.
Capita nel ‘600 con Benedetta, una figura chiaramente ispirata alla Monaca di Monza, che viene murata viva perché accusata di aver sedotto don Fabrizio. Benedetta non cede al pentimento tanto preteso dalle gerarchie pronte a torturarla pur di riammettere il prete almeno a miglior memoria.
Succede ai giorni nostri quando in un clima onirico finanzieri, social media e altre diavolerie contemporanee mettono in pericolo la conservazione del sistema di mutuo soccorso fondatosi nel tempo su eleganti truffe e garbate forme di illeciti del piccolo borgo. L’isolazionismo vampiresco – lo definiranno così in uno studio dentistico i corrosivi Toni Bertorelli e Roberto Herlitzka in una sequenza cristallina di rara bravura – diviene un filtro con cui indagare ogni tempo e anche Bobbio che si lascia prosciugare le risorse per il futuro prima dal rigido controllo della Chiesa e oggi da un sistema di piccoli poteri che soffocano la crescita del paese.
Federico Mai prima nei panni di un soldato fratello gemello di don Fabrizio e poi di un ispettore della Regione bussa alle prigioni dove continuano a nascondersi segreti inconfessabili e dove il tempo cerca l’incantesimo che lo possa fermare. Sul passato Bellocchio ha uno sguardo più deciso che imprime su Benedetta che malgrado riceva un ulteriore delusione anche da Fabrizio, paralizzato dallo stesso desiderio e paura del fratello, non si piega e resiste con una forza simbolica che supera il tempo e la vedrà uscire al parere positivo del cardinale, il suo Fabrizio, più bella di prima.
E’ quel sogno che il cinema di Bellocchio aveva già inaugurato con lo stesso Herlitzka in Buongiorno, notte facendo uscire anche Aldo Moro dalla sua prigione e prigionia. A Bobbio trent’anni dopo esce una donna nuda come il suo desiderio e la sua libertà. Entrambi rivendicano il diritto di esistere e di concedere alla persona di essere se stessa. Sul presente lo sguardo del regista si fa più ironico, quasi mancasse una mappatura precisa del contesto odierno, e tra matti (con Filippo Timi come sovrano) e invalidi spinge a riflettere sulla maledetta sincerità che invade come una falsa qualità la comunicazione contemporanea.
Se nel doppio binario temporale Sangue del mio sangue (in uscita da domani nelle sale italiane distribuito da 01) rischia uno schematismo eccessivo, nella singolarità delle due parti Bellocchio a 76 anni vince, invece, la sfida piazzando un film tutt’altro che provinciale invitandoci provocatoriamente tutti ad uscire dal “nostro vampiro interiore”, la felice espressione di Herlitzka nella conferenza stampa veneziana.