Resta alta la tensione in Venezuela, dove continua il braccio di ferro fra il presidente eletto Nicolas Maduro, erede politico di Hugo Chavez, e Juan Guaidó, il presidente dell’Assemblea Nazionale che il 23 gennaio scorso si è autoproclamato presidente ad interim.
Nelle strade di Caracas la giornata del 1° maggio è stata caratterizzata da manifestazioni e scontri. Negli scontri è morta una donna di 27 anni, forse c’è un’altra vittima e i feriti ormai sono decine.
Dopo settimane di relativa calma la situazione si è infiammata il 30 aprile, quando Guaidó, circondato da alcuni uomini in divisa, ha invitato i militari e la popolazione all’insurrezione contro il regime di Maduro, una iniziativa da lui definita la fase finale dell’ “Operazione Libertà”. Al fianco di Guaidó c’era Leopoldo Lopez, uno storico leader dell’opposizione contro Chavez, agli arresti domiciliari dopo essere stato condannato per aver incitato alla violenza durante le manifestazioni del 2014.
All’appello di Guaidó ha risposto più la piazza che le caserme. Le forze armate sembrano ancora largamente fedeli a Maduro e la spallata nei confronti del governo non c’è stata. Il 2 maggio Maduro ha fatto un appello ai militari per combattere “ogni golpista”.
Dopo le manifestazioni contrapposte del 1° maggio, Guaidó ha chiesto ai suoi sostenitori di restare nelle strade e ha invitato i dipendenti pubblici a entrare in sciopero. Se Guaidó riesce a portarli dalla sua parte sarebbe un grosso successo, ma il governo ha più volte ricattato i dipendenti statali minacciando di licenziarli in caso di infedeltà.
Il braccio di ferro fra Maduro e Guaidó viene eseguito con apprensione e partecipazione dalla comunità internazionale. Gli Stati Uniti, la maggior parte dei paesi dell’America Latina e l’Unione Europea appoggiano Guaidó, mentre Cuba, la Russia e la Cina sono dalla parte di Maduro.
Gli Stati Uniti puntano sulla caduta del regime di Maduro. “Gli Stati Uniti hanno l’interesse a ristabilire un fornitore sicuro di petrolio nella regione e a fermare la probabile pressione migratoria”, scrive l’esperta dell’ISPI, Antonella Mori. Intanto un articolo del New York Times ha raccontato la frustrazione che regnerebbe alla Casa Bianca, dove Trump e i suoi consiglieri più agguerriti (come John Bolton) martedì speravano in una rapida spallata decisiva nei confronti di Maduro. L’opzione dell’intervento militare in Venezuela resta sul tavolo, ma è ad altissimo rischio, perché porterebbe a un bagno di sangue e il danno di immagine per gli Stati Uniti sarebbe enorme. Da parte sua, il presidente brasiliano Bolsonaro, dopo aver criticato Guaidó per il poco efficace tentativo di insurrezione, ha detto che sarebbe disposto a concedere parte del territorio brasiliano come base logistica per un eventuale intervento militare in Venezuela.
In un colloquio telefonico che si immagina molto teso, il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov ha detto al suo collega americano Mike Pompeo che ogni interferenza degli Stati Uniti in Venezuela va considerata una violaizone del diritto internazionale.