La barbara uccisione di padre Jacques Hamel nella chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray è avvenuta pochi giorni prima del ventesimo anniversario della tragica morte di un altro pastore, monsignor Pierre Claverie. Claverie, vescovo della città algerina di Orano, fu ucciso dall’esplosione di una bomba nella tarda serata del 1 agosto 1996. Il prelato tornava in arcivescovado accompagnato dal suo autista Mohamed Bouchikhi, un giovane algerino, musulmano, di 21 anni, anche lui rimasto ucciso. Quel delitto fu un altro durissimo colpo per la piccola Chiesa cattolica algerina, minoritaria in un Paese in maggioranza musulmano, che solo due mesi prima aveva pianto l’uccisione dei sette monaci trappisti rapiti nel monastero di Tibhirine.
Claverie fu l’ultimo esponente cattolico a essere ucciso in Algeria in quel tremendo periodo che insanguinò il Paese alla fine degli anni Novanta. In tutto, i martiri della Chiesa algerina caduti fra il 1994 e il 1996 furono 19. Tra loro anche 6 suore. Erano persone miti, anziane, spesso da molti anni in Algeria, con molti amici musulmani, consapevoli di essere minoranza, senza alcuna volontà di fare proselitismo. “La nostra missione qui è quella di essere amici e vicini del popolo algerino”, ripeteva spesso, in quegli anni, l’allora vescovo di Algeri Henri Teissier. I gruppi terroristici attivi in Algeria negli anni Novanta presero di mira soprattutto i musulmani (intellettuali, giornalisti, scrittori, militari e poliziotti). Con omicidi mirati e stragi. Morirono oltre 150.000 algerini in un decennio Ma non fu dichiarata una vera e propria guerra, come è accaduto con Al Qaeda e Isis, agli occidentali. Però furono colpiti gli uomini e le donne di Chiesa. E quella scia di sangue porta fino alla chiesa normanna dove è stato sgozzato padre Hemel la mattina del 26 luglio 2016.
Pierre Claverie, quando fu ucciso, aveva 58 anni. Era nato a Bab el Oued, uno dei quartieri più popolari di Algeri, da una famiglia francese presente in Algeria da molti anni. Entrato nell’ordine dei Domenicani, Claverie fa i suoi studi in Francia, viene ordinato prete nel 1965 e due anni dopo decide di tornare in Algeria, divenuta nel frattempo indipendente dopo la guerra di liberazione combattuta contro la Francia. “Ho chiesto di tornare in Algeria per riscoprire il mondo dove ero nato. È là che è cominciata la mia vera avventura personale”, dice in quegli anni. In Algeria Claverie ritrova una Chiesa che, sotto la guida del cardinale Duval (amatissimo dagli algerini), si è messa al servizio dei bisogni della popolazione. Claverie impara l’arabo, studia l’Islam e coltiva numerose amicizie fra i musulmani. Nel 1973 vene nominato direttore del Centro diocesano di Algeri, che diventa luogo di incontro e confronto con il mondo islamico.
Nel 1981 arriva la nomina a vescovo di Orano. Da allora fino alla morte Claverie dedica la sua vita al dialogo e all’incontro con la comunità musulmana, contro ogni intolleranza. Quando cominciano gli attentati, a chi gli chiede: “Perché rimanete?’”, risponde con queste parole: “Noi siamo qui a causa di questo Messia crocifisso. A causa di niente e di nessun altro! Non abbiamo nessun interesse da salvare, nessuna influenza da mantenere. Non abbiamo nessun potere, ma siamo qui come al capezzale di un amico, di un fratello malato, in silenzio, stringendogli la mano, asciugandogli la fronte. A causa di Gesù perché è lui che sta soffrendo qui, in questa violenza che non risparmia nessuno, crocifisso di nuovo nella carne di migliaia d’innocenti”. Nel 1993 Claverie si mostra lungimirante sul tema delle migrazioni dal Sud verso il Nord del mondo: “Due terzi dell’umanità sono aspirati dal quel terzo che si arricchisce e si spopola. E l’Europa cambierà volto. Dovremo dunque vivere insieme e se possibile mantenere uno spazio che non sia monopolizzato da una religione, da una cultura, da un tipo di ideologia”. A venti anni dalla morte la figura di Claverie non è stata dimenticata. Il Centro Diocesano di Orano porta il suo nome, i suoi libri vengono ristampati e il gruppo degli “Amici di Pierre Claverie” si impegna a far conoscere e diffondere il suo pensiero. Nel 2011 è stata messa in scena ad Avignone anche un’opera teatrale a lui dedicata e intitolata “Pierre & Mohamed”. La sua tragica morte non ha spento il suo pensiero. Lui stesso amava ripetere che “la parabola del chicco di grano che muore è l’asse centrale di tutta la mia vita cristiana”.