Definendo l'uso di armi chimiche contro la popolazione siriana “un'oscenità morale”, il Segretario di Stato americano John Kerry ha accelerato i tempi di un possibile intervento armato della comunità internazionale in Siria. Era stato Barack Obama a dire che l'uso di armi chimiche da parte del regime siriano avrebbe rappresentato una “linea rossa” da non oltrepassare. La linea sembra essere stata superata il 21 agosto scorso, con la morte di centinaia di persone a Ghouta, una località a est di Damasco. Le immagini terrificanti delle vittime (fra cui molti bambini) hanno fatto il giro del mondo e hanno scatenato l'indignazione della comunità internazionale, quella stessa comunità che dal marzo del 2011 ad oggi non è riuscita a dare una soluzione alla crisi siriana.
Nei mesi scorsi ci hanno provato l'Onu e la Lega Araba. A Damasco sono state inviate delegazioni, sono state convocate numerose conferenze internazionali degli “amici della Siria”, si è discusso all'Onu. Ma ha prevalso l'impotenza, per almeno tre motivi. Primo: l'opposizione della Russia, da sempre alleata del regime di Assad, a sanzioni o cambi di regime pilotati a Damasco. Secondo: la Siria è una polveriera e una guerra contro Assad accenderebbe una miccia che estenderebbe le fiamme (come in parte ha già fatto) in Libano, Turchia, Israele, Iraq, Iran. Di fronte al caos, in questi due anni le grandi potenze hanno preferito lo status quo, anche se il prezzo da pagare è stato salatissimo: una guerra civile spietata, decine di migliaia di morti e milioni di profughi in fuga (fra loro, come hanno denunciato l'Unhcr e l'Unicef, un milione di bambini). Terzo: nei gruppi dei ribelli siriani c'è un po' di tutto e non si capisce chi è davvero affidabile.
L'opposizione ad Assad è una forza disomogenea, infiltrata da milizie legate ad Al Qaeda, che ancora offrono poche garanzie per una evoluzione pacifica del paese, anche dopo l'eventuale caduta del regime. Ma ora si va verso una intervento armato, che resta però ancora da definire. Con l'opposizione di Russia e Cina è impossibile avere un mandato dall'Onu. C'è il precedente dell'attacco della Nato in Kosovo nel 1999, anche allora motivato da ragioni umanitarie. Quella in Kosovo fu una guerra solo aerea, che non coinvolse truppe di terra. Lo stesso dovrebbe accadere in Siria, dove nessun Governo vuole mandare i propri soldati al macello. Il premio Nobel per la pace Obama, dopo aver visto superata la “linea rossa” da lui stesso indicata, ora non può tirarsi indietro nonostante i precedenti dell'Iraq e dell'Afghanistan. La Gran Bretagna e la Turchia premono per un'azione armata anche senza il consenso dell'Onu. La Francia è pronta, ma chiede un po' più di tempo. La Merkel, in piena campagna elettorale verso una rielezione che si annuncia trionfale, non vuole rischiare troppo ma ha concesso che l'uso di armi chimiche “non deve rimanere senza conseguenze”.
L'Italia resta prudente, chiede “una soluzione in ambito multilaterale”e non dimentica che in Siria ci sono due ostaggi italiani: il gesuita Paolo Dall'Oglio e l'inviato della Stampa Domenico Quirico. Intanto Assad minaccia di rispondere a un attacco “con tutti i mezzi disponibili”, i russi fanno la voce grossa contro possibili interventi a danno della Siria, i sauditi non vedono l'ora di togliersi dai piedi il regime filosciita di Damasco, gli israeliani restano guardinghi e pronti a tutto, gli iraniani temono di perdere l'alleato Assad e potrebbero gettare benzina sul fuoco. Con queste promesse non stupisce che su Twitter si parli della situazione in Siria usando anche l'hashtag #IIIGuerraMondiale.