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martedì 10 settembre 2024
 
Alpi-Hrovatin - L'anniversario
 

Ventidue anni fa, a Mogadiscio

20/03/2016  Il 20 marzo 1994 sono stati assassinati Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Nonostante depistaggi e occultamenti, la ricerca della verità prosegue. Questo anniversario, ad esempio, cade alla vigilia di un nuovo processo…

Ilaria Alpi durante un servizio per la Rai. In copertina: Ilaria e Miran Hrovatin in Somalia.
Ilaria Alpi durante un servizio per la Rai. In copertina: Ilaria e Miran Hrovatin in Somalia.

Se si mettessero in fila gli articoli e i commenti usciti il 20 marzo in questi ultimi 22 anni ‒ tanti ne sono passati dal duplice omicidio di Mogadiscio, quando Ilaria Alpi e Miran Hrovatin furono “giustiziati” con un colpo alla testa ‒ oltre a tanta retorica e a vuoti proclami sulla necessità di arrivare alla verità, vi si troverebbe anche il singolare percorso di questa faticosa ma tenace volontà di sapere cos’è realmente successo in quel tragico pomeriggio somalo. E soprattutto perché è successo.

Di anno in anno si sono annunciati nuovi indizi, novità investigative, prossimi sviluppi, piccoli brandelli di verità, tutti elementi dai quali si annunciava un nuovo anno nel quale la famiglia di Miran e i genitori di Ilaria (e ora solo la mamma Luciana, da quando Giorgio è mancato) avevano motivo di sperare che sarebbe stata raggiunta la verità sulla dinamica e il movente dell’agguato omicida.

Ilaria Alpi in Somalia con l'allora comandante della missione italiana Ibis Carmine Fiore.
Ilaria Alpi in Somalia con l'allora comandante della missione italiana Ibis Carmine Fiore.

Elementi e indizi che nel passato si sono poi tradotti in piste interrotte, in depistaggi, in indagini sottratte (a magistrati e poliziotti che forse rischiavano di “andare troppo avanti”). Questo è sempre avvenuto con spietata e sistematica regolarità. È come se vi fosse in corso un’infinita battaglia fra i cercatori di verità e i fabbricatori di “carte false”, nella quale questi ultimi hanno gioco più facile rispetto a chi deve con fatica tentare di perforare il muro di gomma.

Tuttavia, nonostante il fatto che i fabbricatori di carte false siano abili, i cercatori di verità non si sono mai ritrovati al punto di partenza: tanti mattoncini sono stati costruiti, moltissime cose ormai si sanno, il puzzle lentamente si va completando, sia sulle ragioni del duplice assassinio sia su quello delle coperture – istituzionali e non – che hanno impedito l’accertamento della verità.


Hashi Omar Hassan. Si sta per aprire il processo di revisione alla sua condanna.
Hashi Omar Hassan. Si sta per aprire il processo di revisione alla sua condanna.

Ed è così anche in questo anniversario 2016. Ci sono novità recenti. A dicembre scorso la Commissione sul ciclo dei rifiuti presieduta da Alessandro Bratti ha fatto desecretare un fascicolo quanto mai interessante sulle attività del discusso imprenditore italiano Giancarlo Marocchino (in Somalia dal 1984, il primo a giungere sul luogo dell’omicidio, sospettato, indagato ma mai condannato per le accuse di traffico d’armi e di rifiuti tossici), intercettato e pedinato dai carabinieri per conto dell’allora presidente della Commissione rifiuti Paolo Russo proprio mentre lo stesso Marocchino “collaborava” alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Alpi-Hrovatin guidata da Carlo Taormina. Un fascicolo che forse riserverà sorprese se saranno fatti ulteriori indagini e accertamenti.

La seconda novità è la pubblicazione, pochi giorni fa, di una grande tranche di documenti dell’archivio della Commissione Alpi-Hrovatin, sempre rimasti sotto segreto dal 2006, quando lo stesso organismo parlamentare concluse i lavori.

La terza novità è la più importante. Il 5 aprile prossimo, a Perugia, si aprirà il processo di revisione all’unico (finora) condannato per concorso nell’omicidio dei giornalisti, Hashi Omar Hassan, che ha già scontato (con ogni probabilità ingiustamente) oltre 16 dei 26 anni di pena che gli sono stati comminati. Perché si è arrivati alla revisione del caso? Principalmente per merito di una giornalista, che qualche mese fa ha individuato e intervistato l’unico accusatore in vita (l’altro è morto nel 2003) di Hashi, tale Ahmed Ali Raghe detto Jelle: alla giornalista Chiara Cazzaniga di Chi l’ha visto Jelle ha dichiarato che la sua testimonianza era prezzolata, pagata da esponenti delle «istituzioni italiane».


La giornalista Chiara Cazzaniga di Chi l'ha visto intervista Jelle, l'accusatore di Hashi. Jelle racconta di essere stato pagato da "istituzioni italiane" per formulare accuse false.
La giornalista Chiara Cazzaniga di Chi l'ha visto intervista Jelle, l'accusatore di Hashi. Jelle racconta di essere stato pagato da "istituzioni italiane" per formulare accuse false.

Occorre ricordare che l’arresto e le accuse all’allora giovane somalo Hashi avvennero in un momento cruciale delle indagini sull’omicidio di Ilaria e Miran. Era il 1997. Il lavoro investigativo del Pm Giuseppe Pititto e della Digos di Udine stavano per raggiungere risultati forse determinanti per la soluzione del caso. 

Ma in soli sei mesi, tra il luglio del 1997 e il gennaio 1998, la vicenda giudiziaria cambiò irrimediabilmente rotta. L’inchiesta fu sottratta a Pititto, la Digos di Udine fu esautorata. E saltò fuori la pista di Hashi Omar Hassan. Quella della rapina, del delitto per caso, del “caprio espiatorio”, come ha spesso ripetuto la stessa madre di Ilaria, Luciana Alpi. 

Al processo di Perugia, quello che era sembrato una “deviazione” inspiegabile delle indagini potrebbe rivelarsi un preciso e studiato depistaggio. Si annunciano testimonianze importanti e forse verità piuttosto imbarazzanti, che coinvolgono anche uomini delle istituzioni italiane.

Sarà probabilmente il primo vero processo sul caso “Alpi-Hrovatin”.


Luigi Grimaldi - Luciano Scalettari

 
 
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