Nell’immaginario collettivo Roma ha la
faccia e la voce di Carlo Verdone. Così
come, una volta, erano quelle di Alberto
Sordi. Oggi, però, che la capitale è
scossa dall’inchiesta della Procura per
le collusioni tra politici, amministratori
locali e malavita organizzata, La
grande bellezza da Oscar di Paolo Sorrentino
si scolora tragicamente nella grande
bruttezza di una città che pare alla deriva.
Cosa
pensa di questi tristi fatti di cronaca un romano
per eccellenza?
«La corruzione si è impadronita dell’Italia,
non solo di Roma, già da decenni. Siamo all’implosione
di quei sani valori che, bene o male, avevano
fatto rinascere il Paese dalle macerie della
guerra», dice Verdone. «Cominciò tutto con gli
scandali dei palazzinari: la delinquenza capì che
conquistare l’Italia attraverso la politica era possibile.
Fa rabbia dirlo, ma c’è riuscita».
- Tra i grossi nomi inquisiti ci sono l’ex sindaco
Gianni Alemanno, destra storica della capitale,
e Daniele Ozzimo, assessore alla Casa
nella giunta di sinistra del sindaco Marino.
Non si salva nessuno?
«A Roma se dice: er più pulito c’ha la rogna!
Ho appena finito di seguire il Tg e mi cascano le
braccia. Se mettiamo insieme tutti i soldi che ’sti
delinquenti se so’ rubati in quarant’anni di tangenti,
appalti pilotati ed estorsioni, secondo me
escono fuori due finanziarie. Ma di quelle grosse.
Sono cifre astronomiche. Poi si dice che l’Italia
è un Paese che annaspa, da cui i giovani vanno
via per poter lavorare... Lo so per esperienza
perché i tre quarti degli amici dei miei figli vivono
ormai all’estero. Con quei soldi avremmo potuto
far ripartire l’economia. Altro che soppressione
dell’articolo 18, licenziamenti, giovani con
lavori precari. La verità è che in Italia 300 persone
hanno in mano tutto».
- Non vede proprio segni di speranza?
«Ormai il potere sano si è ridotto a un manipolo
di persone, l’onestà è un valore di minoranza.
Questo è un Paese in cui i piccoli delitti sono
puniti, in qualche modo, mentre i grandi crimini
finiscono per trionfare. E Roma ne è la degna
capitale. Tra i 37 che hanno appena arrestato c’è
gente con precedenti penali drammatici. Com’è
che stavano tutti fuori?».
- Non pensa che la reazione possa arrivare dalle persone comuni?
«Purtroppo, mi pare che la gente sia assuefatta.
Non c’è reazione. Se penso a quelli che sono
scesi in piazza per protestare contro immigrati e
campi rom, poi si scopre che è la mala ad arricchirsi
su di loro. Una cosa geniale che solo qua
poteva succedere. Ma è la genialità del male».
- Mai visto un Verdone tanto pessimista...
«Il mio è il pessimismo della ragione. Temo
che Roma e con lei l’Italia abbiano la malavita
che si meritano. Perché non possiamo aspettare
che il cambiamento arrivi dall’alto, sperare nel
magistrato o nel fustigatore di turno. Dobbiamo
cominciare a impegnarci tutti, nel nostro piccolo.
Dopo i casi Parmalat e Cirio pensavo che certi
scandali economici mai si sarebbero potuti ripetere.
Invece, macché. Guarda Monte dei Paschi o
l’Ilva. Si scende in piazza per tante cose e non
contro la corruzione dilagante di questo Paese?
È il vero problema, ci vorrebbe una super indignazione.
Se continuiamo così, invece, l’Italia è
votata alla decadenza assoluta».
- Vede qualcuno, tra i nuovi politici, che possa
alzare la voce?
«Adesso ci sono emergenze da risolvere.
Quindi, avanti così. Ma a lungo andare non è che
si possa fare politica alla buona, in quattro e
quattr’otto. Ci vuole preparazione dal punto di
vista etico e civico. Arrivo a dire perfino filosofico.
La preparazione che dopo la guerra avevano
De Gasperi, Sturzo, Nenni, Pertini».
- Non dà speranza neanche papa Francesco?
«Questo nuovo Papa mi sembra molto lucido,
moderno, vicino alla gente. È stato capace, in
poco tempo, di conquistarsi la stima non solo
dei fedeli ma anche dei non credenti. La piaga
della corruzione in Italia è però davvero troppo
grande. E credo che anche tra i cattolici ci sia chi
ci marci. Non è che con la Confessione si possano
perdonare davvero tutti i peccati. Il Papa dovrebbe
forse far sentire la sua voce per dire che
di fronte alla gravità, personale e sociale, di certi
atti ci può essere comprensione una prima volta.
Ma la seconda sarà senza perdono».