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domenica 18 maggio 2025
 
Il reportage
 

Vermiglio, ecco dove è nato il film vincitore ai David e a Venezia

08/05/2025  Il film ha vinto il David di Donatello come miglior film e in generale ha fatto incetta di statuette - tra cui, il primo ad una donna, alla regista Maura Delpero -. FAMIGLIA CRISTIANA all'indomani del Leone D'Argento di Venezia aveva realizzato un reportage nel paesino trentino: «Una cinquantina di abitanti ha recitato accanto agli attori famosi», aveva raccontato il sindaco. «La cinepresa mi metteva agitazione, ma mi sono divertita», confida Anna. Invece il fratello Luis è sicuro: «Basta con il cinema: da grande farò il pastore»

«La cinepresa mi metteva un po' di agitazione, soprattutto quando dovevo interpretare un dialogo, ma mi sono anche divertita molto a fare l'attrice. Da grande mi piacerebbe studiare recitazione e farlo diventare un lavoro». «A me invece non è piaciuto tanto stare diversi mesi sul set senza poter correre e giocare tra una ripresa e l’altra per non sporcare i vestiti da scena. La mia carriera di attore? Si chiude qui [ride ndr], perché da grande vorrei fare il pastore». Raccontano così la loro esperienza da attori, con innocente spensieratezza, Anna e Luis Thaler, rispettivamente 11 e 9 anni, nati e cresciuti a Vermiglio in Val di Sole in Trentino.

Fratelli nella vita, e anche nel film - come Flavia e Tarcisio, figli del maestro Cesare - della regista bolzanina Maura Delpero. Un’opera che si intitola proprio Vermiglio e al festival di Venezia ha vinto il Leone d’argento [e che ai David di Donatello ha vinto il premio per il miglior film, mentre la regista Maura Delpero ha ottneuto quello di miglior regista, e che in generale a fronte di 14 nomination si è aggiudicato in tutto 7 David ndr]. 

La montagna non è solo neve, creste, torrenti, laghi, pascoli. La montagna è un modo di vivere la vita. Un passo davanti all’altro: «Lo sa bene Maura il cui padre, scomparso recentemente, era nato e cresciuto nel nostro paese e lei qui ha trascorso molte estati della sua infanzia. Si può dire che abbia cominciato a scrivere questa sceneggiatura quand’era bambina, perché è una storia che le appartiene quanto quanto i suoi stessi ricordi», dice Michele Bertolini, sindaco del borgo di 1900 anime della Val di Sole. Che aggiungere: «Il premio è stata un’emozione enorme perché se la visione artistica è merito della regista, la realizzazione è stata un’opera collettiva, con almeno una cinquantina di persone di Vermiglio impegnate quotidianamente con le riprese».

Se il film è ambientato sul finire delle Seconda guerra mondiale, tutte le location scelte esistono ancora oggi nella valle e «sono state selezionate insieme da Maura, tra il nostro comune e il Passo del Tonale, che è una frazione di Vermiglio, a partire dal 2020 quando ci ha sottoposto per la prima volta il progetto e ha iniziato, tra l’entusiasmo controllato della gente di montagna e la curiosità per un film girato interamente ai piedi del massiccio dell’Adamello, a fare il casting tra gli abitanti», ricorda Valentina Mariotti, vicesindaca e attrice nel film dove ha interpretato il ruolo di una suora. 

C’era anche lei tra gli attori di Vermiglio che hanno portato la valle trentina sul red carpet di Venezia, insieme ad Anna, Luis e la loro mamma, Laura, che lavora in una struttura per anziani della Val di Sole: «Sono stata quasi tutti i giorni sul set perché era necessario avere sempre sul set un referente adulto per i bambini. Anche se il mio compito principale era evitare che Luis corresse per i prati, visto che ama giocare nella natura. Ricordo gli sguardi dei costumisti in apprensione perché non sporcasse i vestiti di scena», dice ridendo la madre mentre accarezza il cappellino tirolese che indossa Luis e da cui non si separa mai «ci dorme pure, solo prima del ciak lo toglieva». Tutti gli oggetti di scena e i vestiti usati nel film sono valorizzati dalla cinepresa che alterna i campi larghi e struggenti dei paesaggi alpini, ai primi piani con i volti dei paesani: «Tutte le famiglie di Vermiglio sono state coinvolte per raccogliere abiti appartenuti alle generazioni precedenti e attrezzi agricoli di una volta da usare nelle riprese».

«Noi abbiamo recuperato nel vecchio fienile gli attrezzi da contadino del nonno come vanghe, badili e roncole per lavorare la terra che sono stati usati dalla regista», dice Erica, mamma di Melissa e Cecilia che hanno recitato nel film. Insieme alla famiglia gestisce l’attività dell’Albergo Alpino, una locanda che da generazioni ospita forestieri ed escursionisti «e la stessa Maura Delpero che per i quattro anni di lavorazione del film ha dormito e mangiato qui da noi», racconta Carola, cognata di Erica che nel film interpreta una contadina che balla nella scena del matrimonio tra i protagonisti. «Maura mi ha fatto il regalo di farmi ballare con mio padre in abiti di scena, è stata un’emozione indelebile, al pari di quella provata quando abbiamo visto in tv della vittoria del premio a Venezia. È stato come se Vermiglio avesse vinto il mondiale». 

La cura con cui Delpero ricostruisce le dinamiche e il lessico famigliare che scuote le mura a casa del maestro del paese sul finire del secondo conflitto mondiale ha la potenza e la cura storica di Natalia Ginzburg, ma si ispira anche a dinamiche ancora attuali in un paese come quello nel cuore della Val di Sole: «Nel film eravamo tutti amici e compagni di scuola come nella vita di tutti i giorni», racconta la piccola Cecilia, mentre la sorella maggiore Melissa aggiunge: «È stato bello indossare gli abiti che erano dei nostri nonni. La regista ci spiegava che espressione fare o che posa tenere curando ogni dettaglio, anche nelle mani e nel viso di una contadina come me dovevano essere perfettamente sporchi e verosimili con il contesto raccontato. È stato impegnativo ma divertente». 

Tra questi bambini, fratelli e sorelle nella vita oltre che per esigenze di copione, colpisce la naturalezza con cui hanno interpretato lo stile di vita di oltre 70 anni fa, e come abbiamo recitato nel dialetto della loro valle. In Vermiglio si intravedono echi cinematografici dell’Albero degli zoccoli di Ermanno Olmi, con cui condivide la scelta di essere recitato in dialetto, per ottenere un realismo poetico, ma non sentimentale, in cui l’essenzialità delle scene è arricchita dalla spontaneità di questo gesto come confermano i piccoli Anna, Luis, Cecilia e Melissa: «Fuori da scuola, tra amici e con i genitori parliamo in dialetto. Perciò usarlo nel film come da indicazioni del copione, è stato immediato».

 

 

Foto di: Daniele Lira, Luca Cereda e Agenzie

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