Ostie ai cinque cereali? Oppure con spruzzata di zucchero o una punta di miele per renderle più gradevoli al palato soprattutto dei bambini? È un abuso e non sono ammesse. Le ostie devono essere esclusivamente di frumento di grano. E anche il vino deve essere davvero Doc, e le aziende certificate periodicamente con decreto del vescovo del luogo dove si produce.
Lo ha ribadito il cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione vaticana per il culto divino, in una lettera ai vescovi di tutto il mondo «per incarico del Santo Padre Francesco». Ne è nato un piccolo caso, perché nella lettera il cardinale ha definito «abuso liturgico» anche le ostie «completamente prive di glutine» per i celiaci. Le ostie invece devono contenere una piccola quantità di glutine che ne permetta la panificazione.
Ad assicurare i fedeli è intervenuta l’Associazione italiana celiachia, confermando che le ostie attualmente in commercio con la dicitura “senza glutine”, cioè con contenuto massimo di 20 mg/kg, e quelle con “glutine molto basso”, cioè 100mg/kg, sono sicure. Il presidente dell’Associazione Giuseppe Di Fabio, a nome di tutte le Associazioni europee, ha inviato recentemente una lettera a papa Francesco nella quale ha chiesto che «in ogni luogo della terra sia possibile per il fedele celiaco accostarsi in sicurezza al Sacramento eucaristico».
Nel mondo si calcola che siano 12 milioni i fedeli che soffrono di celiachia. Il problema si pone anche per i sacerdoti. Ma in questo caso le cose sono cambiate. Nel 1995 una nota della Congregazione per la dottrina delle fede, firmata dal cardinale Joseph Ratzinger, non ammetteva all’ordinazione preti allergici al glutine e all’alcol. Nel 2003 la decisione venne corretta dallo stesso Ratzinger, che invitava alla cautela ma non proibiva l’ordinazione.
Poi sono comparse le ostie senza glutine e a un sacerdote celiaco è permessa la celebrazione eucaristica insieme a un altro sacerdote. Stessa cosa per l’alcol. Il vino della Messa ha di solito una gradazione alcolica robusta e la Congregazione ha ribadito con la lettera del cardinale Sarah che deve essere «naturale, genuino, non alterato, né commisto a sostanze estranee».
Nessun’altra bevanda è ammessa sull’altare. Insomma, per la Chiesa non è un caso che Gesù abbia celebrato l’ultima cena con il pane azzimo di frumento e con il vino. Qualche discussione in passato c’è stata sulla “materia” che si trasforma nel corpo e nel sangue di Cristo, sul concetto solo teologico di pane e vino, sulla possibilità di una loro sostituzione con ostie di cereali o birra, secondo la linea dell’inculturazione della fede. Addirittura se ne era parlato subito dopo il concilio di Trento.
Ma la Chiesa ha sempre ribadito che non si può cambiare la materia prima. L’unica eccezione è l’uso del mosto non fermentato per i sacerdoti con problemi di tolleranza all’alcol o ex alcolisti. Ma anche in questo caso il succo d’uva deve essere prodotto senza agenti chimici che impediscano la fermentazione e «senza procedure che alterino la natura come per esempio il congelamento».
Le etichette dei vini da Messa in Italia sono una ventina, alcune notissime. I prezzi variano da 6 a 8 euro al litro. Alla recente fiera vicentina Koinè, vetrina mondiale di tutto l’arredo religioso e degli accessori, erano presenti molti produttori di vino e ostie. Si può comprare on line e in negozi specializzati. Ma i vini da Messa si trovano anche sugli scaffali dei supermercati, ragion per cui la nota della Congregazione invita a vigilare anche sulla conservazione e sulla vendita dei prodotti. Il suggerimento del cardinale Sarah è quello di arrivare a una certificazione unica per ogni Conferenza episcopale, magari affidata a Congregazioni religiose o a un vero e proprio nuovo ente, per ostie e vino di uso liturgico.
(Foto in alto: Reuters)